mercoledì 19 dicembre 2007

La scoria siamo noi

La scoria siamo noi

Il Manifesto del 17 luglio 2007, pag. 1

di Guglielmo Ragozzino

Il primo comunicato di Tepco (Tokyo Eelctric Power Plant) poche ore dopo il terremoto che ha devastato l'area di Kashiwazaki in Giappone era tran­quillizzante. Nessuna conseguenza ai reattori nucleari. Usciva del fumo e si vedevano fiamme, ma era solo -dicevano - un trasformatore del reat­tore n°3 da 1.100 Megawatt, che ave­va preso fuoco. Più tardi un secondo comunicato, ancor più tranquilliz­zante. Dal reattore n° 6, 1.356 Me­gawatt, era colata acqua con materia­le radioattivo. Ma, nessuna paura, si trattava solo di 1,5 litri, una «botti­glia di minerale», finita in mare, «sen­za conseguenze ambientali».



I terremoti sono fatti naturali. In Giappone come in California - o in Italia - si convive con essi da miglia­ia di anni. Ci si difende, ci si prepara, quando si può, come si può. Ma l'energia nucleare, da 60 anni, ha cambiato tutto, per sempre. Gli uma­ni, da Hiroshima e Nagasaki, hanno trasformato la natura in un mostruo­so pericolo. E hanno paura, da ap­prendisti stregoni. È il progresso.



Tepco è il primo produttore di elet­tricità dell'Asia. Come non fidarsi? Il suo impianto nucleare di Kashiwazaki-Kariwa è il maggiore del mon­do, con una capacità di 8 mila Me­gawatt. Anche in questa occasione particolare - il terremoto - ci si vanta che un quinto delle utenze di Tokyo dipendono dalla sua produzione. Se la centrale chiude, servirà olio combustibile e gas nei tradizionali im­pianti termoelettrici per evitare che Tokyo rallenti. Ma la realtà è diversa.

Quattro reattori si sono chiusi «au­tomaticamente». Altri 4 erano già bloccati, in manutenzione, da prima del sisma, forse perché in Giappone hanno ben poca fiducia nel nuclea­re. Già nel 2003 vi fu lo «scandalo del­la sicurezza» che costrinse Tepco a chiudere tutti gli impianti nucleari. La sicurezza e la manutenzione de­gli impianti non erano quelle pro­messe. E si scoprì che le imprese fal­sificavano i documenti. Nel 2004 un altro terremoto nella zona con deci­ne di vittime e centinaia di feriti.



Anni prima, nel 2001, proprio a Kariwa, la località sulla quale sorgono i reattori nucleari, si tenne un referen­dum. Era un tempo lontanissimo, prima ancora dell'11 settembre ma era pur sempre in questo decennio, in questo nostro secolo. La popola­zione, sia pure con una stretta mag­gioranza del 53,4%, votò contro un impianto di riprocessamento Mox (ossidi misti di uranio e plutonio). Al­lora i materiali esausti andavano in Europa e poi tornavano facendo il gi­ro del mondo con la nave. L'impian­to Mox lo si fece, in Giappone, a Rokkasho-Mura. Ben presto venne fer­mato per una perdita di liquido al plutonio. 40 litri, tutti insieme.



Molti in Giappone, nel 2001, criti­carono l'atteggiamento del tipo «non nel mio cortile» dei cittadini di Kariwa che oltretutto avevano già sul groppone ì loro 8 mila Megawatt. Che bisogno c'era di protestare per il Mox? Ma cosa sarebbe avvenuto al­l'impianto Mox per il terremoto? For­se avevano ragione i kariwiani. Forse abbiamo ragione qui in Italia, tra un terremoto e l'altro, a dire: nucleare, meglio astenersi.

Nessun commento: