mercoledì 26 dicembre 2007

La base americana vista da Caldogno

La base americana vista da Caldogno

La Repubblica del 18 gennaio 2007, pag. 1

di Ilvo Diamanti

Io abito a Caldogno, aunpaio di chilometri dall'aeroporto Dal Molin. Dove avverrà l'ampliamento della base militare america­na, secondo la richiesta degli USA, accolta (senza impegni scritti) dal precedente governo, approvata dal Comune di Vicenza (21 voti su 40) e ora accettata da Romano Prodi. Parlo in prima persona, per una vol­ta, perché non intendo fingere di­stacco. Né adottare lo stile analitico con cui traccio le mie "mappe". Perché il mio sguardo è filtrato dal sentimento e dal coinvolgimento di­retto. Io abito a Caldogno, dicevo. Poco più di diecimila abitanti. Fra cui Roberto Baggio. E' cresciuta in fretta Caldogno. La casa dove abitol'ha fatta costruire mio padre negli anni Set­tanta. Nel quartiere, allora, c'erano solo due o tre case, perse in mezzo ai prati. Caldogno: trent'anni fa conta­va quattromila abitanti, forse. Da al­lora è quasi triplicata. Un punto del­la grande galassia del Nordest. Informe. Caldogno, in particolare, è dive­nuta il tessuto connettivo fra l'Alto Vicentino e Vicenza. E la sua crescita massiccia si deve, soprattutto, al consueto processo di "evasione" dal capoluogo di ampi settori di popola­zione verso i comuni dell'hinterland. E' una città agiata, Caldogno. Le sue località, i suoi quartieri, accol­gono ville, villette, bifamiliari, case a schiera. Il Dal Molin fa da confine. Lo incontri quando arrivi a Vicenza dal­la strada interna, dopo aver attraver­sato Ponte Marchese, che scavalca il "fiume" Bacchiglione. (Confiden­zialmente il Livelon. La spiaggetta dei vicentini). Il Dal Molin. Fra i po­chi spazi verdi quasi un parco, tra Caldogno e Vicenza. Al di là del fiume sorgono le villette di Lobbia. L'aero­porto ti accompagna per un tratto, fi­no a Viale Dal Verme. Che funge da circonvallazione per una città che non ha una circonvallazione. Asse­diata dal traffico e dall'urbanizzazio­ne. Da lì al centro, pochi minuti in bici, per chi ha coraggio (si rischia la vi­ta su quelle strade, in bici; tanto più se devi affrontare una sequenza infi­nita di rotatorie). O in auto (semafo­ri permettendo). Quando accompa­gno in auto i miei figli, che studiano a Vicenza, da casa mia ci metto dieci minuti. Il Dal Molin è a metà strada. Cinque minuti dal centro; di Vicenza e di Caldogno. Per questo, qualche anno fa, quando si sparse la voce che proprio li sarebbe sorta una nuova base militare Usa, io non ci ho credu­to. E come me molti altri, che cono­scono il sito. Tremila militari, sei­ settemila tra familiari e ausiliari. Cir­ca diecimila persone. (Altrettante ne risiedono, attualmente, nel villaggio Ederle. In totale diverrebbero venti­mila americani, in una città di centomila abitanti). Una base militare proprio lì, a due passi dal centro (e, lo ammetto, da casa mia). Impossibile.



Invece era assolutamente vero. Tan­to vero che erano stati predisposti piani particolareggiati, circa gli aspetti urbanistici, immobiliari. E fi­nanziari. Definiti con cura dal gover­no americano insieme all'ammini­strazione locale. Per cui, come altri che abitano a Vicenza e a Caldogno, mi sono arreso all'evidenza. Ho ten­tato, fino all'ultimo, di non farmi coinvolgere troppo, emotivamente e concretamente. Per non compro­mettere i pochi momenti di quiete, fra un viaggio e l'altro. Eperché il mio "mestiere" non lo permette. Però co­me fai non pensare che lì, a metà strada, fra casa tua e Vicenza, dopo il Ponte Marchese, sorgerà una base militare? Che un aeroporto dismesso potrebbe diventare attivo; anzi "mi­litare "? Per onestà, gli Usa hanno ga­rantito che non lo utilizzeranno co­me aeroporto. Però trattandosi della 173° brigata aviotrasportata e vista la determinazione con cui gli Usa han­no voluto, preteso, ottenuto proprio il Dal Molin, rifiutando le alternative proposte dal governo, qualche dub­bio è lecito. Per cui ho cominciato se­guire la vicenda con maggiore atten­zione. Pur restando defilato. Ho cer­cato di capire. Ho perfino marciato insieme ai 15 mila che, ai primi di di­cembre, hanno manifestato, in mo­do pacifico. Io, prima, non ricordo di avere mai "marciato". Pigro e scetti­co come sono.



Ritenevo, tuttavia, che, alla fine, il progetto non sarebbe stato approva­to. Perché bastava guardare, cono­scere, vedere... Sbagliavo, evidente­mente. La base si farà. In nome delle alleanze internazionali. E dell'inte­resse nazionale. Che, naturalmente, non può essere stabilito dai cittadini del luogo. Ci mancherebbe. Il Bene del Paese contro il bene del "mio" paese. Non c'è partita. Tanto più se l'informazione locale, gli imprendi­tori, i politici (non solo) di centro-destra catalogano l'opposizione alla base, tutta insieme, nel segno dell’antiamericanismo no-global. E l'accusano di attentare non solo al­l'occupazione dei 750 dipendenti della Caserma Ederle (le cui paure e le cui resistenze, di fronte gli avversari dell'ampliamento, sono del tut­to comprensibili e legittime). Ma perfino all'economia vicentina, nel complesso. Quasi che lo sviluppo lo­cale dipendesse dalla presenza ame­ricana. Le ragioni di chi teme per la sicurezza, per il traffico, per le infra­strutture, per il paesaggio: sepolte dall'antiamericanismo, dalla minaccia all'economia. Nella provincia più americana e più sviluppata d'Ita­lia.



Così, oggi si parla di "scelta obbli­gata" del governo. Di ragion di Stato. Come se il Dal Molin segnasse una nuova cortina di ferro, fra americani e comunisti. Come se fosse "ragione­vole" costruire una base militare in centro città.


Per questo, oggi, mi sento perso­nalmente stupito, sconfitto e un po­co stupido. Perché avevo pensato impensabile ciò che poi è avvenuto. Perché (come altri che abitano qui) mi sento circondato. Solo contro tut­ti: il Comune di Vicenza, gli america­ni, il governo Berlusconi e il governo Prodi. E disarmato. Perché non pos­so fare neppure il no global, globalizzato come sono. Tanto meno l'estremista antiamericano. Io, che non ho conosciuto l'ebbrezza dell'estremi­smo. Io che non sono mai stato marxista. Neppure da giovane. Mi sento confuso e deluso. E arrabbiato. Lucio Caracciolo, ieri mattina (a "Prima pagina",su Radiotre),ha detto che "il governo non abita a Vicen­za". (Ma l'America sì). Lo sapevamo anche prima, qui nel Nordest. Estre­ma periferia d'Italia. Ora lo sappia­mo anche a Caldogno. Piccola peri­feria del Dal Molin. Invisibile. Infor­me. Senza voce.

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