domenica 23 dicembre 2007

Allarme inglese per banche italiane

Allarme inglese per banche italiane

La Stampa del 21 febbraio 2007, pag. 1

di Mario Deaglio
L’incubo dei banchieri sta diventando realtà. In Gran Bretagna, ossia nel Paese dalla più antica cultura bancaria di massa, dove da un secolo tutti sono titolari di un conto corrente, si profila una vera e propria rivolta popolare, che potrebbe coinvolgere un milione di correntisti, con tanto di comitati spontanei pronti a lanciare pesantissime azioni legali. Non è probabilmente un caso che tutto ciò si verifichi proprio quando molte banche inglesi pubblicano i bilanci migliori della loro storia.

Il motivo tecnico del risentimento è piuttosto raro da noi (si tratta di commissioni e penalità quando il conto «va in rosso», il che succede spesso agli «spendaccioni» inglesi, molto meno ai prudenti e «risparmiatori» italiani) ma questo non deve rassicurare le banche italiane. Recenti sondaggi hanno mostrato che, mentre permane una fiducia di fondo del depositante nei confronti della «sua» banca, si sta fortemente riducendo - non solo in Italia o in Gran Bretagna ma un po’ in tutta Europa - la fiducia nelle banche, complessivamente considerate; il che non è poi tanto strano visto che le banche hanno scelto di non essere più istituzioni ma imprese come le altre, con l’obiettivo di rendere massimi i profitti.

Per il passaggio da un ruolo istituzionale a un ruolo concorrenziale non basta un semplice tratto di penna, si deve formare una cultura. Come ha sostenuto il governatore della Banca d’Italia, parlando a Torino il 3 febbraio, il consolidamento dell’industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza… non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi.

I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela.

Non sono parole di un’associazione di difesa dei diritti dei consumatori, ma del capo dell’organo che vigila sul corretto funzionamento del sistema bancario e che, nella nuova situazione di mercato, allarga il proprio campo d’osservazione dalla solidità delle banche alla loro concorrenzialità.

Le banche non dovranno più confrontarsi soltanto con gli analisti finanziari che basano i loro giudizi sul tasso di rendimento del capitale ma anche con depositanti prontissimi a passare alla concorrenza in base alla qualità e al prezzo dei servizi loro offerti. In una società che non ama più il sacro, hanno perduto la loro aura di sacralità. Forse ci sono motivi per rimpiangere i tempi passati - quando grazie all’inflazione si aveva l’illusione che il conto corrente «rendesse» anziché costare - ma in ogni caso gli affezionati depositanti di pochi anni fa si stanno trasformando in attentissimi clienti pronti a rivolgersi altrove e ormai abituati a controllare gli addebiti e le commissioni sul conto corrente con lo stesso parsimonioso sguardo con cui si controlla il conto del supermercato.

Questo passaggio da istituzione a mercato coincide per le banche con l’ennesima rivoluzione elettronica, destinata a modificarne profondamente non solo l’operatività tecnica ma anche l’intera struttura dei costi e dei ricavi. È facile immaginare, infatti, che entro pochissimi anni la maggioranza dei conti correnti sarà di tipo elettronico, normalmente accessibile solo mediante Internet e debba essere proposta a costo pressoché nullo; proprio perché, per strapparsi il cliente, le banche abbasseranno i prezzi e cercheranno di inventare nuovi servizi graditi sia ai depositanti sia a chi chiede loro credito. Il personale delle aziende bancarie sarà in buona parte diversamente utilizzato e diversamente qualificato. Gli attuali, elevati tassi di profitto potrebbero rappresentare una fase transitoria e dovremmo, proprio grazie alla concorrenza, attenderci una loro discesa a livelli più prossimi ai valori medi.

Sono pronte le nostre banche a farsi concorrenza davvero, senza guanti? Il settore bancario italiano ha messo in luce un’ottima capacità progettuale, come dimostrano le fusioni che ne hanno modificato radicalmente il panorama negli ultimi mesi, ed è così arrivato a metà del guado. L’altra metà consiste precisamente nel dimostrare con i fatti che nel nuovo mercato bancario il depositante è re. Se le nostre banche non lo facessero, si troverebbero davanti la replica della situazione inglese.

Nessun commento: