domenica 16 dicembre 2007

La civiltà perduta specchio della nostra

La civiltà perduta specchio della nostra

Viaggio nel paese che otto secoli fa era degli Anazazi. Perché scomparvero?

Consumatori di risorse non rinnovabili, gli indiani Anazazi espressero una civiltà superiore a quella dei popoli vicini contemporanei e poi si dissolsero nel giro di pochissimi anni. La loro parabola somiglia in modo preoccupante a quella della civiltà occidentale in cui noi siamo immersi

di Virginio Bettini

Il popolo che è scomparso prima ancora che un europeo mettesse piede sulle grandi mesa del sudovest degli Stati uniti e del nord del Messico me lo racconta l'archeologo Stephen Plog, impegnato per decenni nella regione, che ha al suo attivo un testo che mi aveva affascinato quando uscì nel 1997 «Ancient Peoples of the American Southwest», pubblicato da Thames and Hudson. Resto ad ascoltarlo assorto, senza interromperlo quando insiste sulle contraddizioni dell'ascesa e della misteriosa caduta di questa cultura della città adatta al clima di un territorio arido ed inospitale, cultura materiale che ha preceduto quella dei moderni Hopi e dei Pueblo indiani. Il mio primo impatto con gli Anazazi era avvenuto per caso, in viaggio di nozze, nel Canyon di Chelly, nel 1981. Lo avevo visitato perché faceva parte della mia cultura cinematografica: il paesaggio mozzafiato de «L'oro dei MacKenna». Ragazzino, vedendo il film, avevo pensato ad una ricostruzione in studio. Mi sbagliavo. Del 1981 è anche il Simposio Anazazi i cui atti sono stati curati da Yack E. Smith del Mesa Verde National Park. Fino a poco tempo fa il mistero Anazazi sembrava risolto: l'antico impero dei favolosi villaggi di pietra di Mesa Verde e dell'Altipiano del Colorado era collassato a seguito di un lungo periodo di siccità, durata oltre 23 anni.

«Ora nessuno parla più di siccità - dice Linda Cordell, professore di antropologia all'Università del Colorado-Boulder e direttore del museo di storia naturale della stessa città - il mistero degli Anazazi è ancora un libro aperto».

Siccità, ma non terribile

Il fenomeno della siccità che colpì la regione alla fine del XIII secolo non fu così terribile da costringere decine di migliaia di Anazazi a spostarsi verso le regioni occupate dagli Hopi nel N-E dell'Arizona, nei territori Zuni nell'ovest del Nuovo Messico a Santa Fè, l'evacuazione dei villaggi avvenne prima della grande siccità. Da cui la domanda: quale fu la vera causa per la quale, alla fine del 1200, un'intera popolazione abbandonò insediamenti la cui costruzione era costata lavoro, sacrifici, ricerca, comprensione della qualità dei materiali in una primissima dimensione bioclimatica che i modelli avanzati della nostra attuale architettura considerano ideali?

Le nuove scoperte archeologiche tendono a cancellare l'immagine popolare degli Anazazi come struttura sociale pacifica di contadini, creatori di canestri e di vasellame, in favore di un popolo per nulla pacifico, dominato da faide e da lotte intestine, in preda ad una profonda crisi religiosa che potrebbe anche essere paragonata allo sconquasso provocato nella struttura sociale europea dalle eresie religiose. Forse furono attratti a sud, in massa, da una nuova, seducente religione. Una delle ragioni che portano gli archeologi a queste conclusioni sta nel fatto che le alte torri cilindriche, dette Kivas, tipiche dei villaggi Anazazi e considerate simbolo religioso, i cui resti più significativi si trovano ad Hovenweep nell'Utah di S-E, non si ritrovano nei nuovi insediamenti.

Il tema centrale quindi resta il fatto, come sostiene uno studio della dottoressa Van West del laboratorio di Ricerca Tree-Ring dell'Università dell'Arizona, che nel corso della siccità le popolazioni Anazazi furono in grado di produrre granturco in quantità tale da garantire la propria sufficienza alimentare. Non è quindi dimostrato che la siccità sia stata la causa del collasso di questa società.

Lo studio dei resti ossei nelle rovine Anazazi hanno però fornito la quasi certezza che le popolazioni abbiano sofferto di malnutrizione, mortalità infantile e riduzione drastica della vita media. Perché allora, se vi era cibo disponibile, la gente moriva?

Ed ecco quindi una nuova ipotesi. Gli Anazazi tra una siccità e l'altra furono colpiti da quel trend di raffreddamento globale che viene chiamata «piccola glaciazione» (little age ice) chiusi in una vera tenaglia rappresentata dalla posizione geografica degli insediamenti: le aree coltivate a bassa quota risultavano troppo secche, impossibili da irrigare, quelle a quota più alta troppo fredde. Investirono nel paesaggio, costruendo dighe e canali, deviando l'acqua su terreni terazzati. Vi è poi un'ipotesi, tutta da dimostrare, che fa riferimento alla religione. Si tratterebbe sempre di questioni ambientali collocate ad un livello psicologico collettivo decisamente alto: la delusione nei confronti delle divinità a causa dei cambiamenti climatici che portarono forti nevicate nel corso dell'inverno ad un clima monsonico in piena estate.

La crisi spirituale potrebbe essere stata tanto catastrofica da portare al collasso della civiltà. Ho rivisitato il sito di Aztec, poco oltre il confine del Colorado con il Nuovo Messico ed il Parco di Mesa Verde, in uno dei quattro angoli di Four Corners, l'angolo del Colorado che fronteggia Utah, Arizona e Nuovo Messico, con la mente in tumulto per le molte contraddizioni delle teorie formulate da archeologi, antropologi, ecologi ed esperti di clima.Perché tanta attenzione per un popolo che, come scrive David Roberts, nel suo libro «In search of the Old Ones», in pratica sopravvisse mescolandosi agli Hopi più a sud, superando non solo legata alla crisi degli insediamenti paleourbani, ma anche all'assalto della conquista spagnola nel XVI secolo, all'invasione anglo-americana del XIX secolo, un popolo che ancora si esprime con le antiche danze e prega gli antichi Dei, i cui bambini ancora parlano la lingua degli antenati?

Parametro di noi stessi

Questo popolo potrebbe essere il paramentro di noi stessi, di noi contemporanei di fronte al cambiamento dovuto alle variazioni climatiche annunciate, con la differenza che noi non avremmo una valle del Rio Grande in cui trasferirci. Questo popolo in grado di costruire quella meraviglia progettuale ed ambientale che sono le strutture del Mesa Verde Cliff Palace, combinazioni petrografiche da allucinazione, alcune tra le più belle combinazioni di colore e linee nel vasellame che mai si siano viste al mondo, questo popolo antico e moderno al tempo stesso, che non superò mai la linea limite dell'età della pietra, che viveva su di un territorio di 30.000 kmq di canyon calcarei e di alte pianure, costruì e mantenne in esercizio oltre 650 km di strade, alcune delle quali larghe più di 30 piedi, in grado di tessere una fitta rete di comunicazione tra deserti e canyon. Questo popolo, la cui consistenza demografica è valutata in 30.000 persone, ci ha lasciato un'architettura moderna nelle forme e nei materiali, coronata da sofisticate torri astronomiche, villaggi ben conservati dal clima secco e dalla naturale consistenza dei materiali utilizzati.Un popolo dal fascino misterioso che non viene cancellato dalle ipotesi di violenza e cannibalismo. Stupiti ci chiediamo ancora «perché» i villaggi siano stati costruiti così in alto a strapiombo nelle alte pareti dei canyon, ma anche «come» sia stato possibile che questo sia avvenuto, come sia possibile che le scorte alimentari di granturco siano state ritrovate intatte, settecento anni dopo.Il Sand Canyon Pueblo ti stravolge con le sue 420 stanze, i 90-100 Kivas con le loro camere sotterranee, le 14 torri ed alti edifici, il tutto cincondato da un muro di pietra. Un disegno urbano simile non poteva che basarsi su di un master plan, su di un modello di pianificazione primitiva. Costò moltissimo in lavoro e progettazione. Fu costruito ed abbandonato nell'arco della durata di una vita umana del tempo, tra il 1240 ed il 1285.Non fu il solo caso. L'archeologo William Lipe della Washington State University sostiene che, alla fine del XIII secolo, vi erano, a Mesa Verde, tra 50 e 75 grandi villaggi come Sand Canyon, con una sorgente ed alte mura di difesa.Per fare questo gli Anazazi deforestarono la regione. Abbattendo alberi per utilizzare il legno come materiale da costruzione e combustibile, favorirono quella crisi ambientale, avvio di un modello caotico, in cui indubbiamente entrarono altri fattori, dall'attacco di popolazioni nomadi alla crisi che provocò violenze inaudite.Sono due gli elementi critici che portarono al collasso di queste civiltà, all'abbandono del luogo, ad un deserto popolato di tanti segni di cultura e civiltà: le variazioni climatiche e quello che S.H. Lekson chiama «socialization for fear», con cannibalismo e massacri.Gli Anazazi come metafora del nostro probabile futuro senza la scappatoia della fuga altrove?

Fonte : "Il Manifesto" del 20-08-2004

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