lunedì 17 dicembre 2007

Neonazisti, Israele sotto choc Sgominata una cellula ebraica

Neonazisti, Israele sotto choc Sgominata una cellula ebraica

Corriere della Sera del 10 settembre 2007, pag. 17

di Davide Frattini

Il nu­mero tatuato sul braccio non è il ricordo tragico dei campi di sterminio, il mar­chio che i sopravvissuti al­l'Olocausto portano ancora sul polso. La cifra è una so­la: «88», il significato dop­pio. Un simbolo che vuole esaltare l'orrore nazista e l'ottava lettera dell'alfabe­to: «Heil Hitler». I giovani dalla testa rasata, arrestati dalla polizia israeliana, lo esibiscono in mezzo a croci celtiche e svastiche.



Otto ragazzi, attorno ai vent'anni, fermati dopo un'indagine lunga un anno. Sono accusati di pestaggi contro religiosi ebrei (dava­no la caccia a chiunque in­dossasse la kippah), immi­grati stranieri, omosessuali, drogati. Avrebbero riempi­to di svastiche una sinagoga a Petah Tikva. Tutto docu­mentato in video che si so­no girati da soli. Mentre prendono a calci un uomo a terra o spaccano una botti­glia di birra in testa a un ci­nese. Mentre fanno il saluto nazista e imbracciano un fucile mitragliatore M-16.



Israele non ha neppure una legge contro l'antisemi­tismo o l'apologia del nazi­smo, le norme puniscono in modo generico l'incitamen­to all'odio razziale, perché nessuno pensava che sarebbe potuto succedere qui. Che un gruppo di adolescen­ti, immigrato dall'ex Unione Sovietica e cresciuto nel Pa­ese, potesse esaltare ed esal­tarsi per l'ideologia che ha prodotto la Shoah.



I ministri del governo, riu­niti per il consiglio domeni­cale, hanno visto i filmati. «Nessuno in questa nazione può rimanere indifferente al­le immagini», ha commenta­to Ehud Olmert. «Mostrano che noi, come società, abbia­mo fallito». Il premier parla comunque di «caso isolato, che non tocca la comunità russa nel suo insieme». I te­legiornali spiegano che le origini ebraiche degli arre­stati sono «dubbie», parte di quell'immigrazione mas­siccia dalle ex Repubbliche sovietiche agli inizi degli An­ni Novanta, quando in molti decisero di chiedere la cittadinanza più per ragioni economiche che per attacca­mento alle radici o ideali sio­nisti.



Il capo della banda si fa chiamare Eli il nazista. Ha diciannove anni. Ai poliziot­ti che lo interrogavano ha re­plicato: «Non mollerò mai. Sono un nazista e resterò un nazista. Non avrò pace fi­no a quando non li avremo uccisi tutti». Gli agenti han­no trovato nelle loro case coltelli, palle di ferro chioda­te, esplosivi. Il gruppo era in contatto via Internet con or­ganizzazioni neo-naziste al­l'estero. Nei video, riprendo­no il sangue sparso sui pavi­menti, le facce degli aggredi­ti ridotte in poltiglia.



«La tragica ironia è che sa­rebbero stati scelti per lo sterminio da quei nazisti che vogliono emulare», ha commentato un portavoce dell'Anti-Defamation League dagli Stati Uniti. «E' un fatto marginale ed estremo. Ma resta intollerabile e dovremo affrontarlo», dice Avner Shalev, presidente di Yad Vashem, il museo del­l'Olocausto.



Due anni fa gli investigato­ri avevano arrestato Vladi­mir Ternorozky. Anche lui portava una svastica tatua­ta sul petto, nell'apparta­mento materiale di propa­ganda dell'Unione Israelia­na Bianca. Bersagli del­l'odio, gli stessi del gruppo di Petah Tikva: ebrei, stra­nieri, arabi, omosessuali. Vladimir aveva fatto il servi­zio militare, su Internet gira­vano le sue foto mentre fa il saluto nazista con indosso la divisa di Tsahal. Il caso ri­velato ieri è più scioccante per il Paese perché la polizia l'ha definita una cellula or­ganizzata: «Stavano anche pianificando un omicidio», ha spiegato un portavoce.



Il ministero degli Interni adesso sta cercando di capi­re se sia possibile revocare la cittadinanza ai fermati, scavando nel loro passato per scoprire se abbiano falsi­ficato le origini ebraiche. Ministri e parlamentari pro­pongono di cambiare la leg­ge del ritorno, per rendere più rigide le regole che ren­dono possibile l'immigrazio­ne in Israele.

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