di Nicola Bruno - 14/12/2007
dal quotidiano "Il Manifesto"
Soldati, robot e generali collegati senza fili. Ecco il conflitto del futuro sognato dall'America
«Ogni nuova tecnologia esige una nuova guerra», scriveva nel 1968 Marshall McLuhan. E così, nell'era dell'informazione e del multimedia, anche la guerra diventa hi-tech e intrisa di cultura da videogiochi. Tanto che Future combat system (Fcs) non è il titolo di un videogame ma il nome del futuristico programma di ammodernamento delle forze armate statunitensi. Un investimento da oltre 200 miliardi di dollari, il più grande dai tempi della Seconda guerra mondiale e il più impegnativo di sempre in termini di risorse economiche. Avviato nel 2003 dall'Agenzia per i progetti di ricerca avanzata per la difesa (Darpa), il programma sta andando avanti tra non poche polemiche, come ha ricordato recentemente un bel servizio del Washington Post. Per i costi, innanzitutto, ma anche per il ruolo di primo piano concesso ai contractors privati, tra cui Boeing e SAIC: al termine dell'operazione, non ci sarà neanche bisogno di trasferimento tecnologico per il riuso civile: nella socializzazione dei costi, questa volta, è già prevista la privatizzazione dei profitti.
La parte più scenografica di Fcs riguarda l'introduzione di 14 famiglie di nuove armi e veicoli, in parte già testati sul terreno negli ultimi conflitti in Afghanistan e Iraq. Aerei senza pilota guidati a distanza, simili a dischi volanti e in grado di colpire con precisione millimetrica. Minuscoli robot gommati con tanto di telecamere da utilizzare per scopi di perlustrazione. I soldati impegnati nei primi test hanno chiesto a gran voce di rendere più intuitivi i comandi, rendendoli magari più simili a quelli della Xbox, la popolare consolle per videogiochi prodotta da Microsoft. La retroguardia sarà sostituita da sofisticati sensori: sganciati in edifici o zone sospette, potranno inviare video in tempo reale alla cabina di comando, senza nessun costo umano. E ancora, otto nuovi veicoli ibridi da combattimento, pensati per trasportare il maggior numero di soldati nel minor spazio possibile.
Non è un caso se il progetto embrionale di Fcs ha preso il via proprio da un gioco di simulazione. Nella prima metà degli anni novanta, oltre 700, tra esperti, militari e agenti dei servizi segreti presero parte a un (ipotetico?) conflitto armato tra Stati Uniti e Iran. Una battaglia virtuale, a colpi di joystick e scenari tridimensionali, da cui emersero le linee guida della guerra del nuovo millennio: leggerezza, velocità, precisione e coerenza d'azione, principi che sembrano ispirate alle Lezioni americane di Italo Calvino. Ma qui, di letterario, c'è ben poco. L'infrastruttura di Future combat system prevede che soldati e robot, droni e generali siano collegati tra loro attraverso una connessione wireless permanente, in modo da trasmettere e condividere dati, immagini e video ai diversi livelli di comando.
Controllo a distanza, comunicazioni in tempo reale, agenti umani e post-umani sincronizzati come un unico organismo. Non è necessario scavare troppo per riconoscere la matrice ideologica di Future combat system. Si tratta della dottrina del «Network-centric warfare», concettualizzata all'interno del dipartimento della Difesa americano alla fine degli anni '90 e abbracciata in pieno da Donald Rumsfeld negli ultimi due conflitti mediorientali, con tanto di morale efficientista annessa: agire con più precisione e velocità significa anche risparmiare vittime civili. Nel suo volume di memorie, il generale Tommy Franks, a capo delle operazioni in Iraq e Afghanistan, ne parla addirittura in termini mitologici: «Oggi chi guida le guerre gode della stessa prospettiva olimpica che Omero aveva dato ai suoi dei».
Eppure, a considerare gli errori a catena commessi dagli americani in Medio oriente, la prospettiva dell'Iliade sembra ancora irraggiungibile. «Come la tecnologia ha finito col perdere la guerra: i network critici in Iraq sono umani, non elettronici» è infatti il titolo di un bel reportage pubblicato sul mensile Wired che ricostruisce i diversi passi falsi che hanno portato al pantano iracheno. A cominciare dall'allucinazione tecnologica che ha fatto perdere di vista dettagli non da poco. Per dirla con le parole pronunciate dal generale Robert Scales in un'audizione al Congresso: «Se so dov'è il nemico, posso ucciderlo. Il problema è che non riesco nemmeno a mettermi in contatto con la popolazione locale». «E come potrebbe? - controbatte il reporter di Wired - Per troppe unità, la guerra si è trasformata in telelavoro».
«Ogni nuova tecnologia esige una nuova guerra», scriveva nel 1968 Marshall McLuhan. E così, nell'era dell'informazione e del multimedia, anche la guerra diventa hi-tech e intrisa di cultura da videogiochi. Tanto che Future combat system (Fcs) non è il titolo di un videogame ma il nome del futuristico programma di ammodernamento delle forze armate statunitensi. Un investimento da oltre 200 miliardi di dollari, il più grande dai tempi della Seconda guerra mondiale e il più impegnativo di sempre in termini di risorse economiche. Avviato nel 2003 dall'Agenzia per i progetti di ricerca avanzata per la difesa (Darpa), il programma sta andando avanti tra non poche polemiche, come ha ricordato recentemente un bel servizio del Washington Post. Per i costi, innanzitutto, ma anche per il ruolo di primo piano concesso ai contractors privati, tra cui Boeing e SAIC: al termine dell'operazione, non ci sarà neanche bisogno di trasferimento tecnologico per il riuso civile: nella socializzazione dei costi, questa volta, è già prevista la privatizzazione dei profitti.
La parte più scenografica di Fcs riguarda l'introduzione di 14 famiglie di nuove armi e veicoli, in parte già testati sul terreno negli ultimi conflitti in Afghanistan e Iraq. Aerei senza pilota guidati a distanza, simili a dischi volanti e in grado di colpire con precisione millimetrica. Minuscoli robot gommati con tanto di telecamere da utilizzare per scopi di perlustrazione. I soldati impegnati nei primi test hanno chiesto a gran voce di rendere più intuitivi i comandi, rendendoli magari più simili a quelli della Xbox, la popolare consolle per videogiochi prodotta da Microsoft. La retroguardia sarà sostituita da sofisticati sensori: sganciati in edifici o zone sospette, potranno inviare video in tempo reale alla cabina di comando, senza nessun costo umano. E ancora, otto nuovi veicoli ibridi da combattimento, pensati per trasportare il maggior numero di soldati nel minor spazio possibile.
Non è un caso se il progetto embrionale di Fcs ha preso il via proprio da un gioco di simulazione. Nella prima metà degli anni novanta, oltre 700, tra esperti, militari e agenti dei servizi segreti presero parte a un (ipotetico?) conflitto armato tra Stati Uniti e Iran. Una battaglia virtuale, a colpi di joystick e scenari tridimensionali, da cui emersero le linee guida della guerra del nuovo millennio: leggerezza, velocità, precisione e coerenza d'azione, principi che sembrano ispirate alle Lezioni americane di Italo Calvino. Ma qui, di letterario, c'è ben poco. L'infrastruttura di Future combat system prevede che soldati e robot, droni e generali siano collegati tra loro attraverso una connessione wireless permanente, in modo da trasmettere e condividere dati, immagini e video ai diversi livelli di comando.
Controllo a distanza, comunicazioni in tempo reale, agenti umani e post-umani sincronizzati come un unico organismo. Non è necessario scavare troppo per riconoscere la matrice ideologica di Future combat system. Si tratta della dottrina del «Network-centric warfare», concettualizzata all'interno del dipartimento della Difesa americano alla fine degli anni '90 e abbracciata in pieno da Donald Rumsfeld negli ultimi due conflitti mediorientali, con tanto di morale efficientista annessa: agire con più precisione e velocità significa anche risparmiare vittime civili. Nel suo volume di memorie, il generale Tommy Franks, a capo delle operazioni in Iraq e Afghanistan, ne parla addirittura in termini mitologici: «Oggi chi guida le guerre gode della stessa prospettiva olimpica che Omero aveva dato ai suoi dei».
Eppure, a considerare gli errori a catena commessi dagli americani in Medio oriente, la prospettiva dell'Iliade sembra ancora irraggiungibile. «Come la tecnologia ha finito col perdere la guerra: i network critici in Iraq sono umani, non elettronici» è infatti il titolo di un bel reportage pubblicato sul mensile Wired che ricostruisce i diversi passi falsi che hanno portato al pantano iracheno. A cominciare dall'allucinazione tecnologica che ha fatto perdere di vista dettagli non da poco. Per dirla con le parole pronunciate dal generale Robert Scales in un'audizione al Congresso: «Se so dov'è il nemico, posso ucciderlo. Il problema è che non riesco nemmeno a mettermi in contatto con la popolazione locale». «E come potrebbe? - controbatte il reporter di Wired - Per troppe unità, la guerra si è trasformata in telelavoro».
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