venerdì 14 dicembre 2007

L'Italia? Un Paese tropicale

L'Italia? Un Paese tropicale

La Stampa.it del 4 dicembre 2007

di Carlo Grande
Nemmeno le simulazioni al computer l’avevano previsto, soprattutto non avevano pronosticato che avvenisse in così breve tempo: negli ultimi decenni la fascia tropicale terrestre ha cominciato ad espandersi verso Nord e verso Sud, a causa dei cambiamenti climatici, il che avrà nel futuro un impatto devastante per molte e vaste regioni del globo.

Lo dicono, in una ricerca pubblicata su «Nature Geoscience», alcuni scienziati americani guidati da Dian Seidel, del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) coadiuvato da alcuni colleghi del Centro Nazionale di Ricerche atmosferiche di Boulder, in Colorado e da altri studiosi indipendenti: le zone aride subtropicali verranno spinte verso i Poli e nel loro spostamento potrebbero inglobare le regioni mediterranee, quelle del sud-est dell’America del Nord, il Messico, l’Australia meridionale, il Sud Africa e parte del Sud America. Anche mezza Italia rischia di venire coinvolta nel fenomeno di un clima tropicale.

Seidel e i suoi colleghi hanno riesaminato gli studi fatti sull’ampiezza della fascia tropicale utilizzando come base di parametri indipendenti, che distinguono le zone tropicali da quelle subtropicali, come i cambiamenti delle temperature atmosferiche, l’osservazione del regime dei venti e le concentrazioni dell’ozono nell’aria. Le conclusioni sono state drammatiche: i tropici hanno avuto, effettivamente, un’espansione di circa 2.5 gradi nel senso della latitudine negli ultimi 25 anni, allargamento che secondo i modelli climatici non sarebbe dovuto avvenire prima della fine del XXI secolo.

Inutile dire che l’allarme, lanciato in contemporanea con l’apertura del vertice di Bali, getta una luce sinistra sul futuro di milioni di persone: le loro nazioni dovranno fronteggiare cambiamenti radicali degli ecosistemi, mai verificatisi prima in quelle aree. La carenza di precipitazioni atmosferiche produrrà gravissime conseguenze per l’approvvigionamento d’acqua e per l’agricoltura locale, i fenomeni climatici estremi (desertificazione del suolo, per esempio, ma anche violente tempeste tropicali) metteranno a rischio la vita di migliaia di persone in aree così densamente popolate.

E’ uno scenario estremo, ancora peggiore di quello delineato dall’Ipcc (l’Intergovernmental Panel on Climate Change), che prevedeva l’aumento delle temperature a due gradi in più, per quanto riguarda il riscaldamento globale, nel 2100. Già si erano riscontrate, negli ultimi anni, variazioni significative delle specie coltivate nelle zone a clima temperato: si sapeva che specie vegetali (ma anche animali) tipiche delle zone tropicali si sono «spostate» e hanno raggiunto qualche volta anche le nostre latitudini, cominciando a modificare gli ecosistemi di sempre. Non tutte le specie sono ovviamente le benvenute: «Si diffonderanno germi patogeni tropicali e gli “insetti vettori” che li trasportano e contribuiscono al contagio», spiega il professor Barry Brook, dell’Università di Adelaide, ricordando ad esempio che l’Australia è una delle nazioni che nel futuro non troppo lontano saranno più colpite da questi nuovi fenomeni.

Insomma, leggere il nuovo rapporto è come lanciare lo sguardo in un futuro apocalittico, che vedrà addirittura mutare le aree intorno a due zone cruciali del pianeta, il Tropico del Cancro e quello (a Sud) del Capricorno. La Terra verrà (e viene già ora, dicono gli scienziati) trasformata drasticamente dal riscaldamento globale, provocato soprattutto dalle attività degli esseri umani. Non è più tempo di tentennamenti, il momento di intervenire è arrivato. Per salvare il pianeta dal futuro collasso climatico bisogna stabilizzare le emissioni mondiali di gas serra entro il 2020 e dimezzarle entro il 2050. Occorre, quindi, compiere il prima possibile una vera e propria rivoluzione energetica per sviluppare nel più breve tempo possibile le fonti rinnovabili di energia e annullare il contributo alla nostra attività delle fonti fossili, primo tra tutti il carbone, il combustibile che produce le più alte emissioni di gas serra.

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