Sette Paesi per una calotta: fanno gola minerali e pesca
• da Il Sole 24 Ore del 10 dicembre 2007, pag. 15
Tutto tranquillo sul fronte del Polo Sud. O almeno così dovrebbe essere. Il Trattato sull’Antartide, firmato a Washington il 1° dicembre 1959 e ratificato finora da una cinquantina di Paesi, bandisce infatti «tutti i provvedimenti di carattere militare, come l’insediamento di basi, la costruzione di fortificazioni, manovre ed esperimenti di armi di qualsiasi genere», affinchè «l’Antartide sia riservata per sempre solo ad attività pacifiche e non divenga né il teatro né il motivo di vertenze internazionali». Per una migliore difesa del continente è stato però necessario completare il Trattato con il Protocollo di Madrid del 1991(entrato in vigore nel 1998), il cui articolo 7 vieta per 50 anni ogni ricerca o estrazione mineraria e richiede una "valutazione d’impatto ambientale" per qualsiasi attività condotta nel continente.
Eppure, cacciata in modo solenne dall’uscio ogni volontà di mettere le mani sulle ricchezze contenute nell’Antartide per preservarne intatto l’ambiente ed evitare ogni motivo di tensione internazionale, la tentazione si riaffaccia alla finestra, sotto forma di rivendicazioni di sovranità di alcuni Paesi che vantano diritti storici su parti del continente. Cosa peraltro legittimata dall’articolo 4 del Trattato, che salvaguarda «i diritti di sovranità territoriale oppure le rivendicazione di sovranità... in precedenza fatte valere» dai firmatari, precostituendo un’ideale base giuridica per accampare prerogative che consentano in ogni momento di avviare attività economiche denunciando il Protocollo aggiuntivo.
E’ infatti quanto meno curioso reclamare il controllo territoriale esclusivo di aree delle quali non si può fare un uso economico. L’ultima iniziativa in materia l’ha comunque effettuata la Gran Bretagna, annunciando in ottobre la volontà di raddoppiare a 400 miglia la propria area d’interesse economico che, sfortunatamente, coincide in modo quasi esatto con quelle rivendicate da Cile e Argentina. Pronta la reazione di,questi due Paesi, che hanno annunciato varie misure di rafforzamento della loro presenza nel settore.
Si dice che alla base della mossa di Londra ci sia, more solito, il petrolio. Esso quasi certamente - al di là delle roboanti ragioni di principio avanzate dalla parti fu già la causa scatenante della guerra delle Falkland del 1982, poiché la piattaforma continentale che separa l’arcipelago (e la Georgia australe) dall’Argentina e dall’Antartide, secondo diverse stime, racchiuderebbe da 20 a 50 miliardi di barili di greggio. Con i corsi alla soglia dei 100 dollari al barile, la tentazione di accaparrarsi tali risorse si ripresenta quindi prepotente. Perché gli indizi della presenza di petrolio (e forse ancor più di gas) sembrano numerosi anche altrove. Così come quelli di carbone (numerosi i ritrovamenti di formazioni di 35-55 milioni di anni fa, di bassa qualità, specie sui monti Transantartici e su quelli del Principe Carlo), di cromo (nel massiccio di Dufek), nickel, zinco, manganese, stagno,molibdeno, piombo, cobalto, titanio, oro, argento, platino e uranio. Senza contare la presenza di noduli metallici. E questo nonostante sia stata "mappato" appena l’l% di superficie, quella libera dai ghiacci.
A queste risorse occorre aggiungere il potenziale ittico (altissimo, considerato che il divieto generale di pesca ne ha fatto un rifugio ideale per molte specie) e, connesso, quello del krill, piccoli crostacei che formano banchi di cibo primario per pesci o mammiferi marini più grandi, che sono pescati come cibo per acquacoltura: le acque antartiche ne conterrebbero mezzo miliardo di tonnellate, a fronte di 25omila tonnellate annue di catture. Ma è soprattutto la risorsa meno ricercata la vera ricchezza del "continente bianco": i suoi 29 km cubi di ghiacci rappresentano infatti ben il 90% del totale planetario e oltre il 60% di tutta l’acqua dolce disponibile sulla terra. Un’ottima ragione per cercare di accaparrarsi tale ricchezza.
• da Il Sole 24 Ore del 10 dicembre 2007, pag. 15
Tutto tranquillo sul fronte del Polo Sud. O almeno così dovrebbe essere. Il Trattato sull’Antartide, firmato a Washington il 1° dicembre 1959 e ratificato finora da una cinquantina di Paesi, bandisce infatti «tutti i provvedimenti di carattere militare, come l’insediamento di basi, la costruzione di fortificazioni, manovre ed esperimenti di armi di qualsiasi genere», affinchè «l’Antartide sia riservata per sempre solo ad attività pacifiche e non divenga né il teatro né il motivo di vertenze internazionali». Per una migliore difesa del continente è stato però necessario completare il Trattato con il Protocollo di Madrid del 1991(entrato in vigore nel 1998), il cui articolo 7 vieta per 50 anni ogni ricerca o estrazione mineraria e richiede una "valutazione d’impatto ambientale" per qualsiasi attività condotta nel continente.
Eppure, cacciata in modo solenne dall’uscio ogni volontà di mettere le mani sulle ricchezze contenute nell’Antartide per preservarne intatto l’ambiente ed evitare ogni motivo di tensione internazionale, la tentazione si riaffaccia alla finestra, sotto forma di rivendicazioni di sovranità di alcuni Paesi che vantano diritti storici su parti del continente. Cosa peraltro legittimata dall’articolo 4 del Trattato, che salvaguarda «i diritti di sovranità territoriale oppure le rivendicazione di sovranità... in precedenza fatte valere» dai firmatari, precostituendo un’ideale base giuridica per accampare prerogative che consentano in ogni momento di avviare attività economiche denunciando il Protocollo aggiuntivo.
E’ infatti quanto meno curioso reclamare il controllo territoriale esclusivo di aree delle quali non si può fare un uso economico. L’ultima iniziativa in materia l’ha comunque effettuata la Gran Bretagna, annunciando in ottobre la volontà di raddoppiare a 400 miglia la propria area d’interesse economico che, sfortunatamente, coincide in modo quasi esatto con quelle rivendicate da Cile e Argentina. Pronta la reazione di,questi due Paesi, che hanno annunciato varie misure di rafforzamento della loro presenza nel settore.
Si dice che alla base della mossa di Londra ci sia, more solito, il petrolio. Esso quasi certamente - al di là delle roboanti ragioni di principio avanzate dalla parti fu già la causa scatenante della guerra delle Falkland del 1982, poiché la piattaforma continentale che separa l’arcipelago (e la Georgia australe) dall’Argentina e dall’Antartide, secondo diverse stime, racchiuderebbe da 20 a 50 miliardi di barili di greggio. Con i corsi alla soglia dei 100 dollari al barile, la tentazione di accaparrarsi tali risorse si ripresenta quindi prepotente. Perché gli indizi della presenza di petrolio (e forse ancor più di gas) sembrano numerosi anche altrove. Così come quelli di carbone (numerosi i ritrovamenti di formazioni di 35-55 milioni di anni fa, di bassa qualità, specie sui monti Transantartici e su quelli del Principe Carlo), di cromo (nel massiccio di Dufek), nickel, zinco, manganese, stagno,molibdeno, piombo, cobalto, titanio, oro, argento, platino e uranio. Senza contare la presenza di noduli metallici. E questo nonostante sia stata "mappato" appena l’l% di superficie, quella libera dai ghiacci.
A queste risorse occorre aggiungere il potenziale ittico (altissimo, considerato che il divieto generale di pesca ne ha fatto un rifugio ideale per molte specie) e, connesso, quello del krill, piccoli crostacei che formano banchi di cibo primario per pesci o mammiferi marini più grandi, che sono pescati come cibo per acquacoltura: le acque antartiche ne conterrebbero mezzo miliardo di tonnellate, a fronte di 25omila tonnellate annue di catture. Ma è soprattutto la risorsa meno ricercata la vera ricchezza del "continente bianco": i suoi 29 km cubi di ghiacci rappresentano infatti ben il 90% del totale planetario e oltre il 60% di tutta l’acqua dolce disponibile sulla terra. Un’ottima ragione per cercare di accaparrarsi tale ricchezza.
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