lunedì 17 dicembre 2007

Rifkin: bene la Ue, ma ora occorre l'ecotassa agricola

Rifkin: bene la Ue, ma ora occorre l'ecotassa agricola
Corriere della Sera Economia del 24 settembre 2007, pag. 10

di Roberto Bagnoli

Come per la benzina e le sigarette, «ora ci vuole una tassa sulla carne per limitarne il consumo. Perché tutta la filiera agro-alimentare per il bestiame è la seconda fonte di surriscalda­mento del pianeta, dietro l'inqui­namento da infrastrutture ma pri­ma dei trasporti». Jeremy Rifkin, economista-filosofo-ambientali­sta, ha deciso di lanciare la sua ultima campagna per «salvare il pia­neta» puntando su un aspetto tan­to nuovo quanto scomodo, perché si tratta di modificare le abitudini alimentari dell'uomo. Rifkin è al termine di un lungo tour europeo, come consigliere del Parlamento di Strasburgo, nella settimana che ha visto una vera e propria rivolu­zione energetica con la decisione di Bruxelles di proporre la scorpo­razione delle reti dalla proprietà. Non solo è d'accordo con la mos­sa della Commissione, ma la defi­nisce una «decisione cruciale» in vista della creazione di una futura Internet energetica.



Il viaggio in Italia - compresa una sosta a Modena al festival del­la filosofia - si è concluso con una colazione al ministero dell'Econo­mia con il ministro Tommaso Padoa-Schioppa. Al centro del collo­quio il nuovo incarico che Rikfin ha ricevuto dal presidente del­l'Unione José Manuel Duaro Barroso di compilare uno studio a lun­go termine sul futuro dell'Energia in Europa. Insomma hanno parla­to della Terza rivoluzione indu­striale, di fonti di energia rinnova­bili, di tecnologie di stoccaggio del­l'idrogeno, di distribuzione dell'elettricità su reti intelligenti.



«No, con lui non ho parlato del­le imposte sulla carne, si tratta di un argomento che non ho ancora affrontato a livello ufficiale, è la prima volta che lo faccio in una in­tervista ma è un tema di importan­za vitale». Rifkin, intellettuale «europeista» che esordì negli anni Ses­santa come pacifista contro la guerra del Vietnam, è un economi­sta che negli ultimi anni della sua intensa attività ha scelto di specia­lizzarsi sull'energia. Ha partecipa­to alla stesura del dossier Ue approvato nello scorso maggio con il quale Bruxelles si impegna a ridur­re del 20% le emissioni di C02 en­tro il 2020. Insomma, è uno che di energia se ne intende anche se non tutte le sue previsioni, come quella sulla fine del lavoro, si sono avverate.



Del bestiame, come una delle cause primarie dell'inquinamen­to, se ne era già oc­cupato nel 1990 con il libro «Ecocidio, ascesa e cadu­ta della cultura del­la carne». Oggi Ri­fkin ricorda, diverti­to, le reazioni an­che sarcastiche a una delle tesi cen­trali del volume, cioè che buona par­te dell'inquinamen­to da bestiame provenisse dalle fla­tulenze delle mucche responsabili del 18% dei gas ad effetto serra «più di quanto non sia emesso da tutti i veicoli del mondo messi in­sieme». Naturalmente non è solo quello, poi ci sono i pesticidi e i fer­tilizzanti per favorire la coltivazio­ne del grano, il disboscamento per creare praterie, la filiera alimentare da carne e 1,3 miliardi di bovini che producono il 65% di ossido di azoto. «E' finita che non se ne è più parlato, è un tema che è uscito dal dibattito al punto che nemme­no il protocollo di Kyoto lo preve­de».



Ma dal novembre scorso le cose sono cambiate. Rifkin racconta che un rapporto della Fao, l'orga­nizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di cibo e agricoltura, gli ha dato ragione. «Questo rap­porto ha messo insieme i risultati delle migliori indagini scientifiche mai realizzate al mondo arrivando a conclusioni sorprendenti». Alcu­ni dati sopra gli altri: per generare un guadagno di una sterlina dalla vendita di carne, se ne spendono nove per alimentare il bestiame. Occorre un gallone di benzina per ottenere l'equivalente di una lib­bra (circa un quinto di gallone) di cereali da mangimi. Una famiglia americana di 4 persone che ha scelto una alimentazione basata sulla carne, produce inquinamen­to pari a sei mesi di guida dell'au­to di famiglia.



La tesi finale del rapporto Fao è la seguente: entro il 2050 il consu­mo della carne, con l'esplosione demografica ed economica di Cina e India, è destinato a raddop­piare con conseguenze catastrofiche. E per mantenere lo stesso li­vello di inquinamento attuale oc­corre che il mondo si attrezzi per dimezzare, entro quella data, il consumo della carne. L'economista-guru lamenta un «silenzio as­sordante» da parte della politica e dei media, «finora è apparso solo un piccolo editoriale del New York Times, la gente non è infor­mata». E accusa le lobby mondiali dei produttori di carne di rifiutarsi di affrontare l'argomento «come del resto hanno fatto e continuano a fare le industrie dell'auto sul­l'emissioni di anidride carbonica o quelle del tabacco nel negare ogni conseguenza sulla formazio­ne dei tumori».



Rifkin è un inarrestabile fiume di parole e di collegamenti cultura­li. Cita l'antropologo Elias Canetti quando disse: «Se mai potessimo avere un'idea della carneficina che seminiamo in termini di vitti­me che lasciamo dietro di noi per sostenere i nostri elevati stili di vi­ta energetici, resteremmo esterre­fatti e completamente nauseati». La sua visione del futuro della ter­ra non è meno catastrofica. «Al momento stiamo utilizzando il 40% di tutta la fotosintesi del pia­neta, è davvero troppo, dobbiamo educare noi e i nostri figli a conce­pire la moralità come fatto globale e non semplicemente personale». Dall'energia agli stili di vita che possono cambiare. La fantasia di Rifkin è inarrestabile. Cita, per esempio, Coco Chanel che nel Do­poguerra cominciò a diffondere l'idea che «abbronzarsi è bello» contro la cultura dominante di al­lora che associava la bellezza al pallore come fattore di distinzione di classe. «Un volto abbronzato, scuro era sinonimo di povertà, in­dice del tipico aspetto di un conta­dino, di un manovale, di uno che lavorava all'aperto».



Poi le cose sono rapidamente cambiate, così può cambiare l'abi­tudine alimentare verso cibi vege­tariani. «Del resto già oggi le classi ricche da anni preferiscono ali­mentazioni leggere, a base di pe­sce, di verdura contro il filetto status-symbol ormai degli ex poveri». Rifkin lamenta la mancanza di in­formazione. «Negli Usa nessuno ne parla e in Europa a fatica sto co­minciando ad affrontare i rischi energetici derivanti dal consumo di carne con grande difficoltà nei miei incontri a livello istituziona­le». Rivela che all'inizio dell'anno quando il rapporto Fao era già stato pubblicato da un paio di mesi, nel corso di un panel a Parigi sul terzo rapporto intergovernativo dell'Onu sui cambiamenti climati­ci, erano presenti tutti i ministri dell'ambiente e dell'energia euro­pei guidati dall'ex presidente fran­cese Jaques Chirac. «Ebbene nes­suno era al corrente che la secon­da fonte principale del cambia­mento climatico fosse il consumo di carne».


L'economista-guru promette battaglia e se i mezzi di comunica­zione tradizionali non lo seguiran­no pensa a Internet e ai motori di ricerca come Google nel ruolo di nuovi alleati. «E' sufficiente diffon­dere questi dati, ormai scientifica­mente provati, e la gente capirà». Per Rifkin è sufficiente imparare a ridurre gradualmente il consumo di carne, diventare un po' vegeta­riani senza «assumere le sembian­ze di Maria Teresa di Calcutta». Chi poteva immaginare che rinunciare a una bistecca vale più del nucleare?

Nessun commento: