"Avete sole e vento sfruttateli al meglio"
La Repubblica del 7 novembre 2007, pag. 37
di Antonio Cianciullo
A vent'anni dal referendum, l'energia dall'atomo torna a dividere. L'8 e il 9 novembre 1987 i tre quesiti che chiedevano di bloccare la corsia preferenziale per gli impianti nucleari ottennero una valanga di sì; oggi una nuova paura, quella del cambiamento climatico prodotto dall'uso dei combustibili fossili, ha ridimensionato la vecchia paura rilanciando il partito dell'atomo. Dobbiamo aspettarci un ribaltone energetico?
«Una prospettiva del genere sarebbe devastante: un gigantesco spreco di denaro e di opportunità», risponde Jeremy Rifkin, teorico dell'economia dell'idrogeno e consulente dell'Unione europea per le strategie energetiche. «L'Italia è un paese che ha grandi possibilità nel campo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Può sfruttare un buon potenziale in campi strategici come il solare e l'eolico. E ha centri di ricerca, come l'Università dell'idrogeno a Monopoli, in Puglia, che possono stimolare la nascita di una filiera produttiva nazionale».
Ma il pressing del partito pro nucleare cresce.
«Io credo che buona parte dei politici che parlano di nucleare agitino uno spauracchio che serve solo a bloccare la rivoluzione industriale in direzione dell'efficienza e delle rinnovabili. Il vero obiettivo è mantenere congelata la situazione attuale sfruttando il petrolio fino all'ultima goccia, incuranti della minaccia del cambiamento climatico».
Eppure, secondo i dati dell'Agenzia internazionale per l'energia, la spinta pro atomo non è solo teorica. Tra il 1992 e il 2005 il nucleare da fissione ha usufruito del 46 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo e il nucleare da fusione del 12 per cento, mentre alle rinnovabili è andato solo l'11 percento.
«Questi numeri confermano la mia tesi. Nonostante investimenti massicci a livello globale il nucleare è sostanzialmente fermo al 6 per cento dell'energia. E in prospettiva non è ipotizzabile una crescita capace di contrastare l'aumento dell'effetto serra. Una centrale nucleare costa due miliardi di dollari e, secondo uno studio dell'Oxford Research Group, per ottenere un rallentamento visibile del riscaldamento climatico usando l'energia atomica bisognerebbe costruire migliaia di impianti nucleari entro il 2070: una proliferazione incontrollata e pericolosissima».
Lei pensa che l'opposizione al nucleare oggi sia maggioritaria in Europa?
«Ci sono sei buone ragioni perché questo avvenga. La prima l'ho enunciata: i costi di costruzione che hanno allontanato gli investitori privati. La seconda sono le scorie radioattive: il cimitero che gli Stati Uniti vogliono costituire nello Yucca Mountain, in Nevada, è costato 18 anni di ricerca e 9 miliardi di dollari e non offre le garanzie necessarie. La terza ragione è che l'uranio non abbonda: al ritmo di consumo attuale si registrerà un deficit attorno al 2025. E passare ai reattori autofertilizzanti, cioè al plutonio, è la quarta ragione per cui dico no: significa fornire materiale pronto uso a un terrorismo sempre più minaccioso. Il quinto motivo per bloccare il nucleare è che gli impianti atomici hanno bisogno di una materia prima che diventerà sempre più rara: l'acqua. In Francia il 55 per cento dell'acqua dolce viene utilizzato per raffreddare le 59 centrali nucleari esistenti e durante la siccità del 2003, questo si è già rivelato un tallone d'Achille del sistema».
La risposta non potrebbe venire dai reattori di quarta generazione, più piccoli e più sicuri?
«Parliamo di una tecnologia che potrebbe, in teoria, essere pronta tra una ventina di anni. Non abbiamo tanto tempo a disposizione: per rallentare il riscaldamento globale evitando danni irreparabili e catastrofici occorre agire subito. E poi c'è il sesto motivo che spinge a bloccare il revanscismo nuclearista. Investire tempo ed energia nella costruzione di impianti nucleari significa togliere risorse al futuro, bloccare la terza rivoluzione energetica: quella di un sistema leggero e decentrato in cui l'energia e l'informazione corrono on demand. Uranio e petrolio sono espressione di un vecchio modo di produrre, verticistico e centralizzato. Noi siamo nell'era di Internet e di Youtube. Il modello vincente è la rete flessibile: contatori intelligenti che consentono di comprare e vendere elettricità, software capaci di orientare e dosare i flussi di energia in funzione delle necessità del momento, prezzi che fluttuano a secondo degli orari in modo da autoregolamentare i consumi».
La Repubblica del 7 novembre 2007, pag. 37
di Antonio Cianciullo
A vent'anni dal referendum, l'energia dall'atomo torna a dividere. L'8 e il 9 novembre 1987 i tre quesiti che chiedevano di bloccare la corsia preferenziale per gli impianti nucleari ottennero una valanga di sì; oggi una nuova paura, quella del cambiamento climatico prodotto dall'uso dei combustibili fossili, ha ridimensionato la vecchia paura rilanciando il partito dell'atomo. Dobbiamo aspettarci un ribaltone energetico?
«Una prospettiva del genere sarebbe devastante: un gigantesco spreco di denaro e di opportunità», risponde Jeremy Rifkin, teorico dell'economia dell'idrogeno e consulente dell'Unione europea per le strategie energetiche. «L'Italia è un paese che ha grandi possibilità nel campo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Può sfruttare un buon potenziale in campi strategici come il solare e l'eolico. E ha centri di ricerca, come l'Università dell'idrogeno a Monopoli, in Puglia, che possono stimolare la nascita di una filiera produttiva nazionale».
Ma il pressing del partito pro nucleare cresce.
«Io credo che buona parte dei politici che parlano di nucleare agitino uno spauracchio che serve solo a bloccare la rivoluzione industriale in direzione dell'efficienza e delle rinnovabili. Il vero obiettivo è mantenere congelata la situazione attuale sfruttando il petrolio fino all'ultima goccia, incuranti della minaccia del cambiamento climatico».
Eppure, secondo i dati dell'Agenzia internazionale per l'energia, la spinta pro atomo non è solo teorica. Tra il 1992 e il 2005 il nucleare da fissione ha usufruito del 46 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo e il nucleare da fusione del 12 per cento, mentre alle rinnovabili è andato solo l'11 percento.
«Questi numeri confermano la mia tesi. Nonostante investimenti massicci a livello globale il nucleare è sostanzialmente fermo al 6 per cento dell'energia. E in prospettiva non è ipotizzabile una crescita capace di contrastare l'aumento dell'effetto serra. Una centrale nucleare costa due miliardi di dollari e, secondo uno studio dell'Oxford Research Group, per ottenere un rallentamento visibile del riscaldamento climatico usando l'energia atomica bisognerebbe costruire migliaia di impianti nucleari entro il 2070: una proliferazione incontrollata e pericolosissima».
Lei pensa che l'opposizione al nucleare oggi sia maggioritaria in Europa?
«Ci sono sei buone ragioni perché questo avvenga. La prima l'ho enunciata: i costi di costruzione che hanno allontanato gli investitori privati. La seconda sono le scorie radioattive: il cimitero che gli Stati Uniti vogliono costituire nello Yucca Mountain, in Nevada, è costato 18 anni di ricerca e 9 miliardi di dollari e non offre le garanzie necessarie. La terza ragione è che l'uranio non abbonda: al ritmo di consumo attuale si registrerà un deficit attorno al 2025. E passare ai reattori autofertilizzanti, cioè al plutonio, è la quarta ragione per cui dico no: significa fornire materiale pronto uso a un terrorismo sempre più minaccioso. Il quinto motivo per bloccare il nucleare è che gli impianti atomici hanno bisogno di una materia prima che diventerà sempre più rara: l'acqua. In Francia il 55 per cento dell'acqua dolce viene utilizzato per raffreddare le 59 centrali nucleari esistenti e durante la siccità del 2003, questo si è già rivelato un tallone d'Achille del sistema».
La risposta non potrebbe venire dai reattori di quarta generazione, più piccoli e più sicuri?
«Parliamo di una tecnologia che potrebbe, in teoria, essere pronta tra una ventina di anni. Non abbiamo tanto tempo a disposizione: per rallentare il riscaldamento globale evitando danni irreparabili e catastrofici occorre agire subito. E poi c'è il sesto motivo che spinge a bloccare il revanscismo nuclearista. Investire tempo ed energia nella costruzione di impianti nucleari significa togliere risorse al futuro, bloccare la terza rivoluzione energetica: quella di un sistema leggero e decentrato in cui l'energia e l'informazione corrono on demand. Uranio e petrolio sono espressione di un vecchio modo di produrre, verticistico e centralizzato. Noi siamo nell'era di Internet e di Youtube. Il modello vincente è la rete flessibile: contatori intelligenti che consentono di comprare e vendere elettricità, software capaci di orientare e dosare i flussi di energia in funzione delle necessità del momento, prezzi che fluttuano a secondo degli orari in modo da autoregolamentare i consumi».
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