venerdì 14 dicembre 2007

"Avete sole e vento sfruttateli al meglio"

"Avete sole e vento sfruttateli al meglio"

La Repubblica del 7 novembre 2007, pag. 37

di Antonio Cianciullo

A vent'anni dal referen­dum, l'energia dall'ato­mo torna a dividere. L'8 e il 9 novembre 1987 i tre quesiti che chiedevano di blocca­re la corsia preferenziale per gli impianti nucleari ottennero una valanga di sì; oggi una nuova pau­ra, quella del cambiamento clima­tico prodotto dall'uso dei combu­stibili fossili, ha ridimensionato la vecchia paura rilanciando il partito dell'atomo. Dobbiamo aspet­tarci un ribaltone energetico?



«Una prospettiva del genere sa­rebbe devastante: un gigantesco spreco di denaro e di opportunità», risponde Jeremy Rifkin, teo­rico dell'economia dell'idrogeno e consulente dell'Unione europea per le strategie energetiche. «L'I­talia è un paese che ha grandi pos­sibilità nel campo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabi­li. Può sfruttare un buon potenzia­le in campi strategici come il sola­re e l'eolico. E ha centri di ricerca, come l'Università dell'idrogeno a Monopoli, in Puglia, che possono stimolare la nascita di una filiera produttiva nazionale».



Ma il pressing del partito pro nucleare cresce.

«Io credo che buona parte dei politici che parlano di nucleare agitino uno spauracchio che serve solo a bloccare la rivoluzione in­dustriale in direzione dell'effi­cienza e delle rinnovabili. Il vero obiettivo è mantenere congelata la situazione attuale sfruttando il petrolio fino all'ultima goccia, in­curanti della minaccia del cam­biamento climatico».



Eppure, secondo i dati dell'A­genzia internazionale per l'ener­gia, la spinta pro atomo non è so­lo teorica. Tra il 1992 e il 2005 il nucleare da fissione ha usufruito del 46 per cento degli investimen­ti in ricerca e sviluppo e il nuclea­re da fusione del 12 per cento, mentre alle rinnovabili è andato solo l'11 percento.

«Questi numeri confermano la mia tesi. Nonostante investimenti massicci a livello globale il nuclea­re è sostanzialmente fermo al 6 per cento dell'energia. E in prospetti­va non è ipotizzabile una crescita capace di contrastare l'aumento dell'effetto serra. Una centrale nu­cleare costa due miliardi di dollari e, secondo uno studio dell'Oxford Research Group, per ottenere un rallentamento visibile del riscaldamento climatico usando l'energia atomica bisognerebbe costrui­re migliaia di impianti nucleari en­tro il 2070: una proliferazione in­controllata e pericolosissima».



Lei pensa che l'opposizione al nucleare oggi sia maggioritaria in Europa?

«Ci sono sei buone ragioni per­ché questo avvenga. La prima l'ho enunciata: i costi di costruzione che hanno allontanato gli investi­tori privati. La seconda sono le scorie radioattive: il cimitero che gli Stati Uniti vogliono costituire nello Yucca Mountain, in Nevada, è costato 18 anni di ricerca e 9 mi­liardi di dollari e non offre le ga­ranzie necessarie. La terza ragione è che l'uranio non abbonda: al rit­mo di consumo attuale si regi­strerà un deficit attorno al 2025. E passare ai reattori autofertilizzan­ti, cioè al plutonio, è la quarta ra­gione per cui dico no: significa for­nire materiale pronto uso a un ter­rorismo sempre più minaccioso. Il quinto motivo per bloccare il nu­cleare è che gli impianti atomici hanno bisogno di una materia pri­ma che diventerà sempre più rara: l'acqua. In Francia il 55 per cento dell'acqua dolce viene utilizzato per raffreddare le 59 centrali nu­cleari esistenti e durante la siccità del 2003, questo si è già rivelato un tallone d'Achille del sistema».



La risposta non potrebbe veni­re dai reattori di quarta genera­zione, più piccoli e più sicuri?
«Parliamo di una tecnologia che potrebbe, in teoria, essere pronta tra una ventina di anni. Non ab­biamo tanto tempo a disposizio­ne: per rallentare il riscaldamento globale evitando danni irrepara­bili e catastrofici occorre agire su­bito. E poi c'è il sesto motivo che spinge a bloccare il revanscismo nuclearista. Investire tempo ed energia nella costruzione di impianti nucleari significa togliere risorse al futuro, bloccare la terza rivoluzione energetica: quella di un sistema leggero e decentrato in cui l'energia e l'informazione cor­rono on demand. Uranio e petro­lio sono espressione di un vecchio modo di produrre, verticistico e centralizzato. Noi siamo nell'era di Internet e di Youtube. Il model­lo vincente è la rete flessibile: con­tatori intelligenti che consentono di comprare e vendere elettricità, software capaci di orientare e do­sare i flussi di energia in funzione delle necessità del momento, prezzi che fluttuano a secondo de­gli orari in modo da autoregola­mentare i consumi».

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