Caccia al tesoro sotto i ghiacci
• da Il Sole 24 Ore del 10 dicembre 2007, pag. 15
di Paolo Migliavacca
Tra gli effetti dello scioglimento sempre più rapido dei ghiacci della calotta artica c'è quello imprevisto - ma certo non sgradito ai 5 Paesi (Usa, Russia, Norvegia, Danimarca e Canada) che si affacciano sul Mar Glaciale Artico - dell'accesso, molto più facile di quanto ipotizzato fino a pochi anni fa, alle risorse racchiuse in quella vasta regione, che si annunciano decisamente cospicue. Un segnale preciso di quest'accelerazione l'ha dato all'inizio dell'agosto scorso l'impresa dei due minisottomarini russi, che hanno deposto sul fondale del Polo Nord, a oltre 4.200 metri di profondità, una bandiera russa quale concreto segno di rivendicazione delle acque che separano la costa lungo il Mar Artico fino appunto al Polo, ben oltre il limite convenzionale delle 200 miglia entro cui si estende la Zona d'interesse economico esclusivo, rivendicando un'ipotetica continuità con la cosiddetta "dorsale di Lomonosov" che parte dall'arcipelago artico della Severnaja Zemlia. Aspirazione analoga (pur senza dispiegamento di vistose spedizioni sottomarine) avanza la Danimarca, sostenendo che la dorsale di Lomonosov termina (o nasce...) di fronte alla Groenlandia.
La pretesa russa è nettamente respinta dagli altri Paesi rivieraschi, ma da tempo è in atto una serie di rivendicazioni (vedi scheda in basso) che contrappone perfino alleati della Nato, come Usa, Canada e Danimarca. Al di là del valore strategico (peraltro enorme) del controllo di nuove rotte commerciali che ridurrebbero di 4mila km la rotta a Nord del continente americano (Passaggio a Nord-Ovest) e di ben 8mila la rotta a Nord dell'Eurasia (Passaggio a Nord-Est), a far gola sono le ricchezze minerarie che la regione artica racchiude. Un'analisi pubblicata nel 2005 dal celebre quotidiano russo Pravda valuta il loro valore globale in 1.500-2.000 miliardi di dollari.
Di quali ricchezze si tratta? In cima a tutte certamente vi sono gli idrocarburi. La stima della loro consistenza è molto erratica, variando da 10 fino a 100 miliardi di barili di petrolio equivalenti, anche a causa dell'ovvia mancanza finora di qualunque prospezione effettiva. Secondo una stima di massima dell'autorevole Usgs (United States Geological Survey), i fondali del Mare Artico potrebbero contenere fino al 25% delle risorse mondiali d'idrocarburi ancora da scoprire.
La cartina a lato mostra come la concentrazione di queste ricchezze petrolifere sia preponderante lungo le coste russe. E in effetti appare Mosca la più interessata al loro sviluppo. Già oggi le regioni di terraferma poste lungo il Mar Artico contengono il 91% delle sue riserve di gas e oltre l'80% di quelle di petrolio. Il solo giacimento di Shtokman, al largo di Murmansk, il maggiore al mondo off-shore, racchiude 3.200 miliardi di m3, oltre a 41 milioni di tonnellate di condensati. A queste risorse occorre poi sommare le enormi quantità d'idrati di gas, una combinazione di acqua e metano gelati di cui sono ricchi i fondali marini, specie quelli artici, e il permafrost costiero dell'Artico.
Sempre secondo l'Usgs, i fondali artici conterrebbero anche notevoli quantità di noduli di stagno, manganese, nickel, oltre a platino e diamanti. Senza dimenticare, grazie al progressivo riscaldamento del Mare Artico, crescenti risorse ittiche, che trovano un habitat ideale in acque finora rimaste purissime.
Prima di tentare di mettere le mani su questi tesori, resta però da risolvere un quesito decisivo: a chi appartengono? O meglio: a chi appartengono le acque sui cui fondali giacciono? Le accennate rivendicazioni territoriali in atto testimoniano l'incertezza in cui versa la materia, considerato che la presenza di una sorta di "terra . composta di ghiacci" che parevano immutabili, come di fatto è stato finora l'Oceano Artico, aveva di fatto impedito, sotto il profilo giuridico, l'equiparazione al mare, cui peraltro è assimilabile.
Se dunque di marcasi tratta (e si tratterà sempre più, con il rapido scioglimento della banchisa), il solo regime giudico applicabile è quello della cosidetta "legge del mare", che prende nome dalla convenzione di Montego Bay del dicembre 1982, ratificata finora da 155 Paesi (ma non dagli Usa, che la ritengono troppo limitativa della libertà di navigazione), in base a cui il limite massimo esercitabile degli interessi degli Stati rivieraschi è quello delle 200 miglia nautiche (371 km), su cui si estendono i diritti economici esclusivi. Sarebbero quindi da rigettare le pretese russe (e anche quelle più pacate danesi) di portare fino al Polo la rivendicazione di sovranità, tirando in ballo la "dorsale di Lomonosov". Se così fosse, assisteremo nei prossimi decenni a una delle più colossali "corse all'oro" della Storia. Quasi certamente l'ultima.
• da Il Sole 24 Ore del 10 dicembre 2007, pag. 15
di Paolo Migliavacca
Tra gli effetti dello scioglimento sempre più rapido dei ghiacci della calotta artica c'è quello imprevisto - ma certo non sgradito ai 5 Paesi (Usa, Russia, Norvegia, Danimarca e Canada) che si affacciano sul Mar Glaciale Artico - dell'accesso, molto più facile di quanto ipotizzato fino a pochi anni fa, alle risorse racchiuse in quella vasta regione, che si annunciano decisamente cospicue. Un segnale preciso di quest'accelerazione l'ha dato all'inizio dell'agosto scorso l'impresa dei due minisottomarini russi, che hanno deposto sul fondale del Polo Nord, a oltre 4.200 metri di profondità, una bandiera russa quale concreto segno di rivendicazione delle acque che separano la costa lungo il Mar Artico fino appunto al Polo, ben oltre il limite convenzionale delle 200 miglia entro cui si estende la Zona d'interesse economico esclusivo, rivendicando un'ipotetica continuità con la cosiddetta "dorsale di Lomonosov" che parte dall'arcipelago artico della Severnaja Zemlia. Aspirazione analoga (pur senza dispiegamento di vistose spedizioni sottomarine) avanza la Danimarca, sostenendo che la dorsale di Lomonosov termina (o nasce...) di fronte alla Groenlandia.
La pretesa russa è nettamente respinta dagli altri Paesi rivieraschi, ma da tempo è in atto una serie di rivendicazioni (vedi scheda in basso) che contrappone perfino alleati della Nato, come Usa, Canada e Danimarca. Al di là del valore strategico (peraltro enorme) del controllo di nuove rotte commerciali che ridurrebbero di 4mila km la rotta a Nord del continente americano (Passaggio a Nord-Ovest) e di ben 8mila la rotta a Nord dell'Eurasia (Passaggio a Nord-Est), a far gola sono le ricchezze minerarie che la regione artica racchiude. Un'analisi pubblicata nel 2005 dal celebre quotidiano russo Pravda valuta il loro valore globale in 1.500-2.000 miliardi di dollari.
Di quali ricchezze si tratta? In cima a tutte certamente vi sono gli idrocarburi. La stima della loro consistenza è molto erratica, variando da 10 fino a 100 miliardi di barili di petrolio equivalenti, anche a causa dell'ovvia mancanza finora di qualunque prospezione effettiva. Secondo una stima di massima dell'autorevole Usgs (United States Geological Survey), i fondali del Mare Artico potrebbero contenere fino al 25% delle risorse mondiali d'idrocarburi ancora da scoprire.
La cartina a lato mostra come la concentrazione di queste ricchezze petrolifere sia preponderante lungo le coste russe. E in effetti appare Mosca la più interessata al loro sviluppo. Già oggi le regioni di terraferma poste lungo il Mar Artico contengono il 91% delle sue riserve di gas e oltre l'80% di quelle di petrolio. Il solo giacimento di Shtokman, al largo di Murmansk, il maggiore al mondo off-shore, racchiude 3.200 miliardi di m3, oltre a 41 milioni di tonnellate di condensati. A queste risorse occorre poi sommare le enormi quantità d'idrati di gas, una combinazione di acqua e metano gelati di cui sono ricchi i fondali marini, specie quelli artici, e il permafrost costiero dell'Artico.
Sempre secondo l'Usgs, i fondali artici conterrebbero anche notevoli quantità di noduli di stagno, manganese, nickel, oltre a platino e diamanti. Senza dimenticare, grazie al progressivo riscaldamento del Mare Artico, crescenti risorse ittiche, che trovano un habitat ideale in acque finora rimaste purissime.
Prima di tentare di mettere le mani su questi tesori, resta però da risolvere un quesito decisivo: a chi appartengono? O meglio: a chi appartengono le acque sui cui fondali giacciono? Le accennate rivendicazioni territoriali in atto testimoniano l'incertezza in cui versa la materia, considerato che la presenza di una sorta di "terra . composta di ghiacci" che parevano immutabili, come di fatto è stato finora l'Oceano Artico, aveva di fatto impedito, sotto il profilo giuridico, l'equiparazione al mare, cui peraltro è assimilabile.
Se dunque di marcasi tratta (e si tratterà sempre più, con il rapido scioglimento della banchisa), il solo regime giudico applicabile è quello della cosidetta "legge del mare", che prende nome dalla convenzione di Montego Bay del dicembre 1982, ratificata finora da 155 Paesi (ma non dagli Usa, che la ritengono troppo limitativa della libertà di navigazione), in base a cui il limite massimo esercitabile degli interessi degli Stati rivieraschi è quello delle 200 miglia nautiche (371 km), su cui si estendono i diritti economici esclusivi. Sarebbero quindi da rigettare le pretese russe (e anche quelle più pacate danesi) di portare fino al Polo la rivendicazione di sovranità, tirando in ballo la "dorsale di Lomonosov". Se così fosse, assisteremo nei prossimi decenni a una delle più colossali "corse all'oro" della Storia. Quasi certamente l'ultima.
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