"Mediterraneo minacciato da quelle acque avvelenate”
La Repubblica del 12 novembre 2007, pag. 21
di Antonio Cianciullo
L'ennesimo colpo all'equilibrio ecologico del Mar Nero, già provato da decenni d'inquinamento selvaggio, è arrivato ieri. Oltre 1.300 tonnellate di nafta già in acqua, 1.700 che potrebbero fuoriuscire da un momento all'altro e lo sversamento di 2.400 tonnellate di zolfo: sono i numeri di un disastro causato più dall'organizzazione dei trasporti che dal maltempo.
«Cambiano i nomi e i luoghi, ma la dinamica delle tragedie del mare resta sempre la stessa», ricorda Silvio Greco, coordinatore scientifico dell'Icram (Istituto centrale ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) . «Ormai i bollettini meteo a 48 ore sono più che affidabili, ma le navi continuano a correre rischi assurdi perché l'armatore preme per consegnare la mercé ottenendo il maggior profitto, il capitano è stimolato dai premi e così tutti corrono per guadagnare al massimo sottovalutando i pericoli. Anche perché se poi le cose vanno male a rimetterci è solo l'ambiente: i danni o non vengono pagati o il pagamento è poco più che simbolico».
In questo caso a preoccupare è il tipo di mercé trasportata da una delle navi che si sono spezzate. La nafta ha un impatto ambientale molto più grave di quello del greggio. Il primo problema, spiega Greco, è la creazione di una patina oleosa che si distribuisce sulla superficie dell'acqua distruggendo la vita marina che trova e uccidendo gli uccelli con cui entra in contatto. Ma questo impatto, pur se grave, è relativamente breve perché la chiazza nera tende a frammentarsi e viene lentamente attaccata dall'azione dei batteri. Ben più devastante è l'effetto prodotto dall'inabissamento delle sostanze inquinanti che vanno a deporsi sul fondo del mare come un sudario, un sudario che resiste per decenni. La nafta tra l'altro contiene sostanze estremamente pericolose come gli idrocarburi policiclici aromatici che tendono a risalire la catena alimentare passando da predatore a predatore fino ad arrivare all'uomo.
«La portata e la frequenza dei disastri provocati dalle petroliere mostra l'urgenza di un cambiamento anche a livello legislativo», sottolinea il magistrato Antonino Abrami, ispiratore della proposta per l'istituzione della Corte penale internazionale per la tutela dell'ambiente sostenuta dai Nobel per la pace. «Ci vogliono più controlli, ma ci vuole anche un deterrente legale. Non è possibile che chi produce danni così gravi alla collettività presente e alle generazioni future riesca a cavarsela perché non esiste un luogo giuridico in cui i crimini contro l'ambiente possano essere giudicati».
In questo caso, poi, i riflessi sul Mediterraneo sono immediati. «E' un'emergenza che ci riguarda direttamente», nota Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente. «Il Mar Nero è un mare chiuso, dal ricambio difficile, trasformato da tempo in cloaca dai rifiuti tossici scaricati dai complessi industriali dell'ex Unione Sovietica, ormai obsoleti e tradizionalmente poco attenti alle questioni ambientali. E per le acque del Mediterraneo rappresenta un vero e proprio cancro: i suoi apporti di metalli pesanti e di idrocarburi sono tra le principali fonti d'inquinamento del Mare Nostrum. Inoltre il Mar Nero ospita una flotta, particolarmente inaffidabile e da tempo inserita nella black list della Ue, una lista in cui le petrolieri russe sono ai primi posti tra quelle a cui è stato vietato l'accesso nei porti europei».
La Repubblica del 12 novembre 2007, pag. 21
di Antonio Cianciullo
L'ennesimo colpo all'equilibrio ecologico del Mar Nero, già provato da decenni d'inquinamento selvaggio, è arrivato ieri. Oltre 1.300 tonnellate di nafta già in acqua, 1.700 che potrebbero fuoriuscire da un momento all'altro e lo sversamento di 2.400 tonnellate di zolfo: sono i numeri di un disastro causato più dall'organizzazione dei trasporti che dal maltempo.
«Cambiano i nomi e i luoghi, ma la dinamica delle tragedie del mare resta sempre la stessa», ricorda Silvio Greco, coordinatore scientifico dell'Icram (Istituto centrale ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) . «Ormai i bollettini meteo a 48 ore sono più che affidabili, ma le navi continuano a correre rischi assurdi perché l'armatore preme per consegnare la mercé ottenendo il maggior profitto, il capitano è stimolato dai premi e così tutti corrono per guadagnare al massimo sottovalutando i pericoli. Anche perché se poi le cose vanno male a rimetterci è solo l'ambiente: i danni o non vengono pagati o il pagamento è poco più che simbolico».
In questo caso a preoccupare è il tipo di mercé trasportata da una delle navi che si sono spezzate. La nafta ha un impatto ambientale molto più grave di quello del greggio. Il primo problema, spiega Greco, è la creazione di una patina oleosa che si distribuisce sulla superficie dell'acqua distruggendo la vita marina che trova e uccidendo gli uccelli con cui entra in contatto. Ma questo impatto, pur se grave, è relativamente breve perché la chiazza nera tende a frammentarsi e viene lentamente attaccata dall'azione dei batteri. Ben più devastante è l'effetto prodotto dall'inabissamento delle sostanze inquinanti che vanno a deporsi sul fondo del mare come un sudario, un sudario che resiste per decenni. La nafta tra l'altro contiene sostanze estremamente pericolose come gli idrocarburi policiclici aromatici che tendono a risalire la catena alimentare passando da predatore a predatore fino ad arrivare all'uomo.
«La portata e la frequenza dei disastri provocati dalle petroliere mostra l'urgenza di un cambiamento anche a livello legislativo», sottolinea il magistrato Antonino Abrami, ispiratore della proposta per l'istituzione della Corte penale internazionale per la tutela dell'ambiente sostenuta dai Nobel per la pace. «Ci vogliono più controlli, ma ci vuole anche un deterrente legale. Non è possibile che chi produce danni così gravi alla collettività presente e alle generazioni future riesca a cavarsela perché non esiste un luogo giuridico in cui i crimini contro l'ambiente possano essere giudicati».
In questo caso, poi, i riflessi sul Mediterraneo sono immediati. «E' un'emergenza che ci riguarda direttamente», nota Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente. «Il Mar Nero è un mare chiuso, dal ricambio difficile, trasformato da tempo in cloaca dai rifiuti tossici scaricati dai complessi industriali dell'ex Unione Sovietica, ormai obsoleti e tradizionalmente poco attenti alle questioni ambientali. E per le acque del Mediterraneo rappresenta un vero e proprio cancro: i suoi apporti di metalli pesanti e di idrocarburi sono tra le principali fonti d'inquinamento del Mare Nostrum. Inoltre il Mar Nero ospita una flotta, particolarmente inaffidabile e da tempo inserita nella black list della Ue, una lista in cui le petrolieri russe sono ai primi posti tra quelle a cui è stato vietato l'accesso nei porti europei».
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