Scorie italiane
da Left del 9 novembre 2007, pag. 10
di Vincenzo Mulè
Quattro centrali dismesse, altrettanti impianti di trattamento e fabbricazione del combustibile nucleare e ton-nellate"cTi scorie. Molte barre di combustibile irraggiato giacciono ancora nelle piscine delle centrali. Altri rifiuti radioattivi aspettano lo smaltimento definitivo in un centinaio di siti "provvisori" da qualche decennio. È l'eredità radioattiva del nostro Paese che conta, secondo l'inventario curato da Apat, circa 25mila metri cubi di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato pari al 99 per cento della radioattività presente nel nostro Paese, a cui vanno sommati i circa 1.500 metri cubi di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 80-90mila metri cubi di rifiuti che deriveranno dallo smantellamento delle quattro centrali e degli impianti del ciclo del combustibile. Una montagna di rifiuti che necessitano di un sicuro sito di smaltimento definitivo, che il governo Berlusconi e la Sogin alla fine del 2003 avevano individuato a Scanzano Ionico, in Basilicata. Per Legambiente, sbagliando nel merito (il sito non era stato studiato con rilievi sul campo) e nel metodo (non coinvolgendo enti locali e cittadini). E creando un pericoloso precedente anche per la necessaria realizzazione del sito di smaltimento delle scorie meno pericolose e longeve, quelle di prima e seconda categoria. Per quelle di terza categoria non è sufficiente inviare le barre di combustibile all'estero per il riprocessamento, visto che poi torneranno vetrificate con tutto il loro carico di radioattività. Entro il 2011 la Sogin spenderà 400 milioni di euro nelle attività di smantellamento degli impiantì nucleari ancora presenti in Italia. Secondo le linee guida del piano industriale 2007-2011 è prevista un'accelerazione delle attività, in particolare nei siti di Trino, di Caorso e Bosco Marengo. Per quest'ultimo impianto ci si attende il completo smantellamento entro il 2009. Nel quadriennio verranno sviluppate attività che dovrebbero raggiungere il 30 per cento in termini di avanzamento lavori, a fronte dell'attuale sei per cento. Sogin ha predisposto una gara internazionale per il trasporto e il riprocessamento (processo che porta all'estrazione di uranio e plutonio dai rifiuti). La francese Arevasi è aggiudicata la gara per 267 milioni di euro. Le scorie saranno inviate oltralpe in cinque anni. Ma, al massimo nel 2025, dovranno rientrare in Italia. A breve, si parla di sei mesi, sarà individuato un sito dove realizzare il deposito unico nazionale che dovrà occuparsi del trattamento di 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi. L'obiettivo è stato annunciato dal ministro per lo Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, al termine della prima riunione sul tema con le Regioni. E per questo, presto, sarà costituito un tavolo di lavoro misto (ministero, Apat, Enea, Regioni) che potrà contare sul supporto della Sogin.
Da più parti si considera il nucleare come una tra le fonti energetiche meno costose. Nel suo rapporto "I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum" Legambiente, invece, sottolinea come sono sempre più numerose le ricerche, anche molto autorevoli, sui suoi costi "veri", che hanno infatti scoraggiato i privati dall'investire in questa tecnologia negli ultimi decenni: «Chi ne parla come di una fonte competitiva sotto il profilo economico - ha affermato il presidente di Legambiente, Roberto Della Seta - mente sapendo di mentire : il costo di un kWh di elettricità da nucleare deve necessariamente comprendere anche la chiusura del ciclo del combustibile, lo smaltimento delle scorie e lo smantellamento delle centrali per essere considerato reale e competere sul mercato». A proposito di finanziamenti, è utile ricordare come, secondo le stime dell'Agenzia internazionale per l'energia, dal 1992 al 2005 il nucleare da fissione ha usufruito del 46 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo, quello da fusione del 12%. Alle fonti rinnovabili è stato destinato solo Fll per cento del totale. L'accordo di programma stipulato fra l'Enea (Ente nazionale per le nuove tecnologie, energie e ambiente) e il ministero dello Sviluppo economico sancisce che arriveranno dalla bolletta della luce i fondi destinati alla ricerca sul nucleare da fissione 3+ e di quarta generazione. «Si tratta di 5,5 milioni di euro l'anno per tre anni -spiega Stefano Monti, presidente della Siet, società pubblica partecipata da Enea che gestisce i laboratori di collaudo termofluidodinamico dei reattori -. I fondi derivano dal prelievo della "componente 5" della bolletta della luce - aggiunge Monti - che servono alla ricerca strategica nel campo dell'energia elettrica. Per ora siamo sicuri dei 5,5 milioni che arrivano dal prelievo del 2006 e che verranno spesi nel 2007-2008». La ricerca sul nucleare del dopo Cernobyl, spiega Monti, per l'Enea non si è fermata grazie al programma europeo Euratom e questi fondi costituiranno «un'aggiunta per attività complementari e ulteriori rispetto a quelle che facciamo già in Europa».
Finora il nucleare si è basato sulla tecnologia della fissione. Il futuro invece sembra risiedere nella fusione. La ricerca mira a estendere quanto più possibile i limiti di temperatura, densità, durata della scarica e potenza prodotta dalla reazione al calore. Nella cosiddetta fusione "a confinamento magnetico", un gas ionizzato a alta temperatura, detto anche "plasma", viene isolato in una regione dello spazio per mezzo di campi magnetici, all'interno di macchine chiamate "tokamak". In questi apparecchi è possibile ottenere in modo riproducibile plasmi a livelli elevatissimi di temperatura e densità. Queste macchine sono le uniche che, negli anni Novanta, hanno prodotto una quantità significativa di potenza da fusione. Anche se, per ora, limitata nel tempo. Un problema che potrebbe essere risolto con la costruzione del Tokamak Iter, che avvicinerà in termini temporali la data del possibile sfruttamento commerciale di un reattore a fusione. Data che gli scienziati tendono a collocare alla metà di questo secolo.
Al momento il ritorno dell'Italia al nucleare si può prendere in considerazione solo attraverso la partecipazione alla ricerca del nucleare di IV generazione. È questa la posizione del nostro governo e ribadita al nostro giornale dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi: «La ricerca sulla fissione di quarta generazione è molto interessante. Perché gli obiettivi che si pone questo progetto sono esattamente la risposta alle critiche che facciamo e che facevamo al nucleare: ridurre al minimo la quantità e la pericolosità delle scorie; aumentare i livelli di sicurezza in modo che non siano più necessari piani di sicurezza e quindi senza possibilità di una fuga radioattiva significativa; avere costi economici competitivi con quelli di altre fonti; rendere impossibile la proliferazione del nucleare militare attraverso processi come quelli dell'arricchimento dell'uranio; rendere sicuro il nucleare da attacchi terroristici.
Se alla generazione III plus, quella in attuale costruzione, non sono stati raggiunti questi obiettivi, significa che tutte le nostre obiezioni erano più che fondate». La tecnologia di IV generazione rappresenta un'evoluzione dell'attuale, considerata la più sicura e risponde, essenzialmente, a tre requisiti: alto grado di economicità, maggiore sicurezza e minore produzione di scorie. I reattori di IV generazione dovranno essere in grado di utilizzare al meglio le risorse naturali, in particolare del combustibile (uranio e plutonio), riducendo la quantità e la pe-ricolosità di rifiuti radioattivi, in particolare i tempi del decadimento: da centinaia di migliaia di anni si dovrebbe passare a centinaia di anni. Uno studio del Consorzio Rfe, partecipato da Cnr, Enea e Università di Padova con il contributo dell'Euratom, sottolinea come le prime centrali saranno quelle basate sul ciclo deuterio-trizio e, probabilmente, sullo sconfinamento magnetico e configurazione di tipo Tokamak. Il deuterio si ricava dall'acqua marina, quindi possiamo affermare che i suoi depositi potenziali siano infiniti. Due grammi di deuterio sono ricavabili da 50 litri d'acqua e dal punto di vista energetico la quantità può essere confrontabile con l'energia da combustione di due ettolitri di nafta, tre quintali di carbone o la fissione di 30 grammi di uranio naturale. L'altro combustile è il trizio. È radioattivo, ma le sue radiazioni non penetrano la pelle umana, per cui è dannoso solo se ingerito o respirato. Essendo prodotto artificialmente, si può considerare come illimitato. Anche nel caso di incidente, le strutture interne del reattore non possono fondere e la barriera di contenimento dei materiali radioattivi non si può rompere. Non è quindi richiesta l'evacuazione della popolazione residente vicino alla centrale. Per le scorie radioattive, infine, non sarà necessario un sito geologico di tipo permanente, ma solo un deposito transitorio, che potrebbe essere anche la centrale stessa, in vista del loro riciclaggio per l'uso nelle centrali successive. Nella fusione, poi, non è necessario alcun trasporto di materiale radioattivo, né come combustibile, né come scoria. La produzione di energia con la fusione non comporta l'emissione di anidride carbonica nell'atmosfera.
da Left del 9 novembre 2007, pag. 10
di Vincenzo Mulè
Quattro centrali dismesse, altrettanti impianti di trattamento e fabbricazione del combustibile nucleare e ton-nellate"cTi scorie. Molte barre di combustibile irraggiato giacciono ancora nelle piscine delle centrali. Altri rifiuti radioattivi aspettano lo smaltimento definitivo in un centinaio di siti "provvisori" da qualche decennio. È l'eredità radioattiva del nostro Paese che conta, secondo l'inventario curato da Apat, circa 25mila metri cubi di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato pari al 99 per cento della radioattività presente nel nostro Paese, a cui vanno sommati i circa 1.500 metri cubi di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 80-90mila metri cubi di rifiuti che deriveranno dallo smantellamento delle quattro centrali e degli impianti del ciclo del combustibile. Una montagna di rifiuti che necessitano di un sicuro sito di smaltimento definitivo, che il governo Berlusconi e la Sogin alla fine del 2003 avevano individuato a Scanzano Ionico, in Basilicata. Per Legambiente, sbagliando nel merito (il sito non era stato studiato con rilievi sul campo) e nel metodo (non coinvolgendo enti locali e cittadini). E creando un pericoloso precedente anche per la necessaria realizzazione del sito di smaltimento delle scorie meno pericolose e longeve, quelle di prima e seconda categoria. Per quelle di terza categoria non è sufficiente inviare le barre di combustibile all'estero per il riprocessamento, visto che poi torneranno vetrificate con tutto il loro carico di radioattività. Entro il 2011 la Sogin spenderà 400 milioni di euro nelle attività di smantellamento degli impiantì nucleari ancora presenti in Italia. Secondo le linee guida del piano industriale 2007-2011 è prevista un'accelerazione delle attività, in particolare nei siti di Trino, di Caorso e Bosco Marengo. Per quest'ultimo impianto ci si attende il completo smantellamento entro il 2009. Nel quadriennio verranno sviluppate attività che dovrebbero raggiungere il 30 per cento in termini di avanzamento lavori, a fronte dell'attuale sei per cento. Sogin ha predisposto una gara internazionale per il trasporto e il riprocessamento (processo che porta all'estrazione di uranio e plutonio dai rifiuti). La francese Arevasi è aggiudicata la gara per 267 milioni di euro. Le scorie saranno inviate oltralpe in cinque anni. Ma, al massimo nel 2025, dovranno rientrare in Italia. A breve, si parla di sei mesi, sarà individuato un sito dove realizzare il deposito unico nazionale che dovrà occuparsi del trattamento di 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi. L'obiettivo è stato annunciato dal ministro per lo Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, al termine della prima riunione sul tema con le Regioni. E per questo, presto, sarà costituito un tavolo di lavoro misto (ministero, Apat, Enea, Regioni) che potrà contare sul supporto della Sogin.
Da più parti si considera il nucleare come una tra le fonti energetiche meno costose. Nel suo rapporto "I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum" Legambiente, invece, sottolinea come sono sempre più numerose le ricerche, anche molto autorevoli, sui suoi costi "veri", che hanno infatti scoraggiato i privati dall'investire in questa tecnologia negli ultimi decenni: «Chi ne parla come di una fonte competitiva sotto il profilo economico - ha affermato il presidente di Legambiente, Roberto Della Seta - mente sapendo di mentire : il costo di un kWh di elettricità da nucleare deve necessariamente comprendere anche la chiusura del ciclo del combustibile, lo smaltimento delle scorie e lo smantellamento delle centrali per essere considerato reale e competere sul mercato». A proposito di finanziamenti, è utile ricordare come, secondo le stime dell'Agenzia internazionale per l'energia, dal 1992 al 2005 il nucleare da fissione ha usufruito del 46 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo, quello da fusione del 12%. Alle fonti rinnovabili è stato destinato solo Fll per cento del totale. L'accordo di programma stipulato fra l'Enea (Ente nazionale per le nuove tecnologie, energie e ambiente) e il ministero dello Sviluppo economico sancisce che arriveranno dalla bolletta della luce i fondi destinati alla ricerca sul nucleare da fissione 3+ e di quarta generazione. «Si tratta di 5,5 milioni di euro l'anno per tre anni -spiega Stefano Monti, presidente della Siet, società pubblica partecipata da Enea che gestisce i laboratori di collaudo termofluidodinamico dei reattori -. I fondi derivano dal prelievo della "componente 5" della bolletta della luce - aggiunge Monti - che servono alla ricerca strategica nel campo dell'energia elettrica. Per ora siamo sicuri dei 5,5 milioni che arrivano dal prelievo del 2006 e che verranno spesi nel 2007-2008». La ricerca sul nucleare del dopo Cernobyl, spiega Monti, per l'Enea non si è fermata grazie al programma europeo Euratom e questi fondi costituiranno «un'aggiunta per attività complementari e ulteriori rispetto a quelle che facciamo già in Europa».
Finora il nucleare si è basato sulla tecnologia della fissione. Il futuro invece sembra risiedere nella fusione. La ricerca mira a estendere quanto più possibile i limiti di temperatura, densità, durata della scarica e potenza prodotta dalla reazione al calore. Nella cosiddetta fusione "a confinamento magnetico", un gas ionizzato a alta temperatura, detto anche "plasma", viene isolato in una regione dello spazio per mezzo di campi magnetici, all'interno di macchine chiamate "tokamak". In questi apparecchi è possibile ottenere in modo riproducibile plasmi a livelli elevatissimi di temperatura e densità. Queste macchine sono le uniche che, negli anni Novanta, hanno prodotto una quantità significativa di potenza da fusione. Anche se, per ora, limitata nel tempo. Un problema che potrebbe essere risolto con la costruzione del Tokamak Iter, che avvicinerà in termini temporali la data del possibile sfruttamento commerciale di un reattore a fusione. Data che gli scienziati tendono a collocare alla metà di questo secolo.
Al momento il ritorno dell'Italia al nucleare si può prendere in considerazione solo attraverso la partecipazione alla ricerca del nucleare di IV generazione. È questa la posizione del nostro governo e ribadita al nostro giornale dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi: «La ricerca sulla fissione di quarta generazione è molto interessante. Perché gli obiettivi che si pone questo progetto sono esattamente la risposta alle critiche che facciamo e che facevamo al nucleare: ridurre al minimo la quantità e la pericolosità delle scorie; aumentare i livelli di sicurezza in modo che non siano più necessari piani di sicurezza e quindi senza possibilità di una fuga radioattiva significativa; avere costi economici competitivi con quelli di altre fonti; rendere impossibile la proliferazione del nucleare militare attraverso processi come quelli dell'arricchimento dell'uranio; rendere sicuro il nucleare da attacchi terroristici.
Se alla generazione III plus, quella in attuale costruzione, non sono stati raggiunti questi obiettivi, significa che tutte le nostre obiezioni erano più che fondate». La tecnologia di IV generazione rappresenta un'evoluzione dell'attuale, considerata la più sicura e risponde, essenzialmente, a tre requisiti: alto grado di economicità, maggiore sicurezza e minore produzione di scorie. I reattori di IV generazione dovranno essere in grado di utilizzare al meglio le risorse naturali, in particolare del combustibile (uranio e plutonio), riducendo la quantità e la pe-ricolosità di rifiuti radioattivi, in particolare i tempi del decadimento: da centinaia di migliaia di anni si dovrebbe passare a centinaia di anni. Uno studio del Consorzio Rfe, partecipato da Cnr, Enea e Università di Padova con il contributo dell'Euratom, sottolinea come le prime centrali saranno quelle basate sul ciclo deuterio-trizio e, probabilmente, sullo sconfinamento magnetico e configurazione di tipo Tokamak. Il deuterio si ricava dall'acqua marina, quindi possiamo affermare che i suoi depositi potenziali siano infiniti. Due grammi di deuterio sono ricavabili da 50 litri d'acqua e dal punto di vista energetico la quantità può essere confrontabile con l'energia da combustione di due ettolitri di nafta, tre quintali di carbone o la fissione di 30 grammi di uranio naturale. L'altro combustile è il trizio. È radioattivo, ma le sue radiazioni non penetrano la pelle umana, per cui è dannoso solo se ingerito o respirato. Essendo prodotto artificialmente, si può considerare come illimitato. Anche nel caso di incidente, le strutture interne del reattore non possono fondere e la barriera di contenimento dei materiali radioattivi non si può rompere. Non è quindi richiesta l'evacuazione della popolazione residente vicino alla centrale. Per le scorie radioattive, infine, non sarà necessario un sito geologico di tipo permanente, ma solo un deposito transitorio, che potrebbe essere anche la centrale stessa, in vista del loro riciclaggio per l'uso nelle centrali successive. Nella fusione, poi, non è necessario alcun trasporto di materiale radioattivo, né come combustibile, né come scoria. La produzione di energia con la fusione non comporta l'emissione di anidride carbonica nell'atmosfera.
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