venerdì 14 dicembre 2007

Scorie italiane

Scorie italiane

da Left del 9 novembre 2007, pag. 10

di Vincenzo Mulè

Quattro centrali dismesse, al­trettanti impianti di tratta­mento e fabbricazione del combustibile nucleare e ton-nellate"cTi scorie. Molte barre di combu­stibile irraggiato giacciono ancora nelle piscine delle centrali. Altri rifiuti ra­dioattivi aspettano lo smaltimento defi­nitivo in un centinaio di siti "provvisori" da qualche decennio. È l'eredità radioat­tiva del nostro Paese che conta, secondo l'inventario curato da Apat, circa 25mila metri cubi di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato pari al 99 per cento della radioattività presente nel no­stro Paese, a cui vanno sommati i circa 1.500 metri cubi di rifiuti prodotti an­nualmente da ricerca, medicina e indu­stria e i circa 80-90mila metri cubi di ri­fiuti che deriveranno dallo smantella­mento delle quattro centrali e degli im­pianti del ciclo del combustibile. Una montagna di rifiuti che necessitano di un sicuro sito di smaltimento definitivo, che il governo Berlusconi e la Sogin alla fine del 2003 avevano individuato a Scanzano Ionico, in Basilicata. Per Legambiente, sbagliando nel merito (il sito non era stato studiato con rilievi sul campo) e nel metodo (non coinvolgendo enti locali e cittadini). E creando un pericoloso precedente anche per la necessaria realizzazione del sito di smaltimento delle scorie meno pericolose e longeve, quelle di prima e seconda categoria. Per quelle di terza categoria non è sufficien­te inviare le barre di combustibile all'e­stero per il riprocessamento, visto che poi torneranno vetrificate con tutto il lo­ro carico di radioattività. Entro il 2011 la Sogin spenderà 400 milioni di euro nel­le attività di smantellamento degli im­piantì nucleari ancora presenti in Italia. Secondo le linee guida del piano indu­striale 2007-2011 è prevista un'accelera­zione delle attività, in particolare nei siti di Trino, di Caorso e Bosco Marengo. Per quest'ultimo impianto ci si attende il completo smantellamento entro il 2009. Nel quadriennio verranno svilup­pate attività che dovrebbero raggiun­gere il 30 per cento in termini di avan­zamento lavori, a fronte dell'attuale sei per cento. Sogin ha predisposto una ga­ra internazionale per il trasporto e il ri­processamento (processo che porta al­l'estrazione di uranio e plutonio dai ri­fiuti). La francese Arevasi è aggiudica­ta la gara per 267 milioni di euro. Le scorie saranno inviate oltralpe in cin­que anni. Ma, al massimo nel 2025, do­vranno rientrare in Italia. A breve, si parla di sei mesi, sarà individuato un si­to dove realizzare il deposito unico na­zionale che dovrà occuparsi del tratta­mento di 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi. L'obiettivo è stato annun­ciato dal ministro per lo Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, al termine della prima riunione sul tema con le Regioni. E per questo, presto, sarà costituito un tavolo di lavoro misto (mini­stero, Apat, Enea, Regioni) che potrà contare sul supporto della Sogin.



Da più parti si considera il nucleare come una tra le fonti energetiche meno costo­se. Nel suo rapporto "I problemi irrisolti del nucleare a vent’anni dal referendum" Legambiente, invece, sottolinea come sono sempre più numerose le ricerche, anche molto autorevoli, sui suoi costi "veri", che hanno infatti scoraggiato i privati dall'investire in questa tecnolo­gia negli ultimi decenni: «Chi ne parla come di una fonte competitiva sotto il profilo economico - ha affermato il pre­sidente di Legambiente, Roberto Della Seta - mente sapendo di mentire : il costo di un kWh di elettricità da nucleare deve necessariamente comprendere anche la chiusura del ciclo del combustibile, lo smaltimento delle scorie e lo smantella­mento delle centrali per essere conside­rato reale e competere sul mercato». A proposito di finanziamenti, è utile ricor­dare come, secondo le stime dell'Agenzia internazionale per l'energia, dal 1992 al 2005 il nucleare da fissione ha usu­fruito del 46 per cento degli investimen­ti in ricerca e sviluppo, quello da fusione del 12%. Alle fonti rinnovabili è stato de­stinato solo Fll per cento del totale. L'ac­cordo di programma stipulato fra l'Enea (Ente nazionale per le nuove tecnologie, energie e ambiente) e il ministero dello Sviluppo economico sancisce che arrive­ranno dalla bolletta della luce i fondi de­stinati alla ricerca sul nucleare da fissio­ne 3+ e di quarta generazione. «Si tratta di 5,5 milioni di euro l'anno per tre anni -spiega Stefano Monti, presidente della Siet, società pubblica partecipata da Enea che gestisce i laboratori di collaudo termofluidodinamico dei reattori -. I fondi derivano dal prelievo della "com­ponente 5" della bolletta della luce - ag­giunge Monti - che servono alla ricerca strategica nel campo del­l'energia elettrica. Per ora siamo sicuri dei 5,5 mi­lioni che arrivano dal prelievo del 2006 e che verranno spesi nel 2007-2008». La ricerca sul nu­cleare del dopo Cernobyl, spiega Monti, per l'Enea non si è fermata grazie al programma europeo Euratom e questi fondi costituiranno «un'aggiunta per attività complementari e ulteriori rispetto a quelle che facciamo già in Europa».



Finora il nucleare si è basato sulla tecno­logia della fissione. Il futuro invece sem­bra risiedere nella fusione. La ricerca mira a estendere quanto più possibile i limiti di temperatura, densità, durata della scarica e potenza prodotta dalla reazione al calore. Nella cosiddetta fu­sione "a confinamento magnetico", un gas ionizzato a alta temperatura, detto anche "plasma", viene isolato in una re­gione dello spazio per mezzo di campi magnetici, all'interno di macchine chiamate "tokamak". In questi apparecchi è possibile ottenere in modo riproducibi­le plasmi a livelli elevatissimi di tempe­ratura e densità. Queste macchine sono le uniche che, negli anni Novanta, han­no prodotto una quantità significativa di potenza da fusione. Anche se, per ora, limitata nel tempo. Un problema che potrebbe essere ri­solto con la costruzione del Tokamak Iter, che avvicinerà in termini temporali la data del possibile sfruttamento commerciale di un reat­tore a fusione. Data che gli scienziati tendono a collocare alla metà di questo secolo.



Al momento il ritorno dell'Italia al nu­cleare si può prendere in considerazione solo attraverso la partecipazione alla ricerca del nucleare di IV generazione. È questa la posizione del nostro governo e ribadita al nostro giornale dall'ex mini­stro dell'Ambiente Edo Ronchi: «La ri­cerca sulla fissione di quarta generazio­ne è molto interessante. Perché gli obiet­tivi che si pone questo progetto sono esattamente la risposta alle critiche che facciamo e che facevamo al nucleare: ri­durre al minimo la quantità e la pericolosità delle scorie; aumentare i livelli di sicurezza in modo che non siano più ne­cessari piani di sicurezza e quindi senza possibilità di una fuga radioattiva signi­ficativa; avere costi economici competi­tivi con quelli di altre fonti; rendere im­possibile la proliferazione del nucleare militare attraverso processi come quelli dell'arricchimento dell'uranio; rendere sicuro il nucleare da attacchi terroristici.



Se alla generazione III plus, quella in at­tuale costruzione, non sono stati rag­giunti questi obiettivi, significa che tutte le nostre obiezioni erano più che fonda­te». La tecnologia di IV generazione rap­presenta un'evoluzione dell'attuale, considerata la più sicura e risponde, essenzialmente, a tre requisiti: alto grado di economicità, maggiore sicurezza e mi­nore produzione di scorie. I reattori di IV generazione dovranno essere in grado di utilizzare al meglio le risorse naturali, in particolare del combustibile (uranio e plutonio), riducendo la quantità e la pe-ricolosità di rifiuti radioattivi, in particolare i tempi del decadimento: da centinaia di migliaia di anni si dovrebbe pas­sare a centinaia di anni. Uno studio del Consorzio Rfe, partecipato da Cnr, Enea e Università di Padova con il contributo dell'Euratom, sottolinea come le prime centrali saranno quelle basate sul ciclo deuterio-trizio e, probabilmente, sullo sconfinamento magnetico e configura­zione di tipo Tokamak. Il deuterio si ri­cava dall'acqua marina, quindi possia­mo affermare che i suoi depositi poten­ziali siano infiniti. Due grammi di deute­rio sono ricavabili da 50 litri d'acqua e dal punto di vista energetico la quantità può essere confrontabile con l'energia da combustione di due ettolitri di nafta, tre quintali di carbone o la fissione di 30 grammi di uranio naturale. L'altro com­bustile è il trizio. È radioattivo, ma le sue radiazioni non penetrano la pelle uma­na, per cui è dannoso solo se ingerito o respirato. Essendo prodotto artificial­mente, si può considerare come illimita­to. Anche nel caso di incidente, le strut­ture interne del reattore non possono fondere e la barriera di contenimento dei materiali radioattivi non si può rom­pere. Non è quindi richiesta l'evacuazio­ne della popolazione residente vicino al­la centrale. Per le scorie radioattive, infi­ne, non sarà necessario un sito geologico di tipo permanente, ma solo un deposito transitorio, che potrebbe essere anche la centrale stessa, in vista del loro riciclag­gio per l'uso nelle centrali successive. Nella fusione, poi, non è necessario al­cun trasporto di materiale radioattivo, né come combustibile, né come scoria. La produzione di energia con la fusione non comporta l'emissione di anidride carbonica nell'atmosfera.

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